Trailer per un film che forse non verrà

Trailer per un film che forse non verrà

Per quella tendenza che ormai ha preso un po’ la mano del blog, facciamo l’ennesimo trailer di un film che non si sa ancora se e quando uscirà in Italia. Già visto nei festival (a Cannes e a Torino, per esempio), Un monde (ma è circolato anche con un altro titolo, Playground), della regista belga esordiente Laura Wandel, è il classico piccolo film che dimostra come con due sole idee, ma belle forti, una estetica e una narrativa, si possa realizzare un autentico gioiellino in grado di mostrare quasi con spocchia involontaria cosa sia la magia di un cinema fatto nella più totale semplicità.

Brevemente. Il Playground del titolo è il cortile della scuola che frequentano due fratellini, Nora, sette anni, e Abel, di poco più grande. Abel è vittima delle angherie di alcuni compagni particolarmente spietati, Nora testimone sofferente di questa situazione, fino al momento in cui decide di rivelare tutto al padre che ogni mattina li accompagna a scuola (Karim Leklou, di cui si vede soprattutto la pancia, ma c’è un perché), malgrado Abel si sia raccomandato di non farlo. Abel quindi si allontana da Nora, considerata una spiona, e progressivamente si accoda ai bulli nel prendere di mira qualcuno ancora più indifeso di lui, mentre Nora comincia a odiare quel fratello che è diventato indirettamente un ostacolo anche al suo tentativo di integrarsi all’interno della classe.

Embe’? Classica storia ambientata a scuola sugli atti di bullismo, sai quante ce ne sono?, potrebbe obiettare qualcuno di voi. Uhhh, un’infinità: se sono storie americane, interviene qualcuno e fa giustizia, mettendo tutto a posto e facendo capire come i bulli, alla fine, siano ancora più sfigati di colui con cui tentano di rifarsi (La mia guardia del corpo o La storia infinita, per esempio). Se il film è europeo, meglio se è del nord Europa (Danimarca, Svezia, roba così), la figura del bullo è il pretesto per una più ampia riflessione sociale che investe la collettività e le sue colpe, a partire dall’ambito familiare (Evil – Il ribelle o Tarzan di gomma). E invece Un monde ha qualcosa di diverso. Per come è narrato e per cosa mostra. Strutturalmente, tanto per iniziare, ha un andamento ciclico, perché, come sottolinea anche la locandina, inizia e finisce con un abbraccio e la sua ripetizione chiude tematicamente un cerchio, perché l’abbraccio non è lo stesso, dentro c’è tutto un mondo di traumi, transiti e nuove consapevolezze. Tutto in un’ora e dieci scarsa, il tempo di un solo episodio di serie tv, tanto per sconfessare la necessità di sviluppare il carattere dei protagonisti oltre l’ora e mezza canonica del film cui si accennava nel precedente post.

La scelta vincente però è quella registica, vale a dire: come osservare fedelmente ciò che succede pur occultando il contesto. Ciò è possibile se si assume una dimensione intima, totalmente interna, capace di raccontare tutti i mutamenti di stato assumendone pienamente il riflesso e le conseguenze. La macchina da presa della Wandel si inchioda al volto e alla nuca della piccola protagonista, Nora, interpretata dalla sorprendente Maya Vanderbeque, al suo primo film, su cui è stato fatto un lavoro mimetico superbo, a meno che non si voglia credere che l’intero film sia un’enorme candid camera capace di sfruttare la sua intensa naturalezza a contatto con la realtà. La macchina da presa, dicevo, si attacca al volto della bambina per specchiarsi nelle sue reazioni e alla sua nuca per seguirne le traiettorie, sempre in diretta relazione con ciò che capita al fratello, vessato quotidianamente da quel gruppetto di piccole facce di cazzo che si accanisce contro di lui. Oltre la figura di Nora, il resto, però, è un enorme, grandissimo fuoricampo, che diventa percepibile solo nel momento in cui l’azione della bambina entra nella direttrice di ciò che di decisivo le succede intorno. Sopra si diceva della pancia del padre: il volto dell’uomo, infatti, si vede solo quando si inginocchia per avvicinarsi al volto della figlia, entrando nell’inquadratura. È Nora il fulcro che garantisce la dignità narrativa a tutto il resto: si accede alla vicenda entrando nella sua sfera ed è dalla sua sfera che si irradia ciò che la circonda. E quando dico tutto il resto, intendo sia gli altri personaggi che l’eventualità stessa che il pubblico entri nella storia. C’è una sola soggettiva in tutto il film – la soggettiva, quell’inquadratura che si sostituisce al punto di vista più o meno preciso di un personaggio – e compare indicativamente in una pausa della mosca cieca a cui Nora sta giocando con le compagne nel cortile: la bambina si alza la benda che ha sugli occhi, il piano si stacca da lei e mostra Abel, il fratello, messo di peso in un bidone dell’immondizia dal gruppo dei bulletti (nessuno di voi lo ha mai fatto a qualcuno che lo meritava? Come dite? Ma che domande faccio? Ah, è strana? Ok, capito, forse nel passato abbiamo avuto una diversa formazione culturale). Torniamo a noi: dopo aver visto la fine che sta facendo il fratello, Nora si cala nuovamente la benda sugli occhi, elude per eccessiva sofferenza il problema e continua a giocare. Un’unica soggettiva che sospende per un solo istante il flusso in continuità delle immagini, per farsi sottolineatura della storia con lo scopo di mostrare il punto di non ritorno, cioé il momento in cui Abel rischia la caduta definitiva, toccando il suo punto più basso. Subito dopo, grazie all’intervento di Nora e alla denuncia del padre, Abel sarà difeso dalle istituzioni scolastiche, per poi tentare di stornare da sé il problema nel modo più vigliacco e tremendamente umano, unendosi cioé agli aggressori nelle prepotenze verso un bambino ancora più debole di lui. Questa precisa cesura è anche il momento in cui cambia la prospettiva di Nora, prima testimone preoccupata delle sorti del fratello, dopo infastidita dalle sue azioni e dalle umiliazioni subite che le causano l’alienazione della simpatia delle compagne.

La prospettiva della regista è particolare, innegabilmente: non si immedesima, né si identifica con i personaggi e la materia trattata. No, Un monde, a cavallo della soggettiva di cui sopra, nella melma del bullismo, con tutte le conseguenze dolorose che porta, vi si immerge completamente, condividendo con il pubblico i limiti dell’orizzonte, la visione parziale, sofferta e – infine – anche astiosa della piccola Nora, perennemente in bilico tra l’affetto per Abel, l’impotenza generata dalla rabbia e l’incapacità di collocarsi tra i coetanei con soddisfazione, anche a causa di quel fratello diventato fonte di grande imbarazzo. A molti ricorderà il cinema dei Dardenne, ma è solo una suggestione data dalla comune nazionalità che si ferma alla forma esteriore, perché i Dardenne tengono alla relazione tra soggetto e ambiente, la stimolano, cercando le risposte possibili che ne scaturiscono. In realtà, guardando bene, lo sguardo posto su una realtà monadica è simile piuttosto a ciò che fece László Nemes, altro esordiente, all’epoca, come lo è la Wandel adesso, con Il figlio di Saul, probabilmente il capitolo definitivo sulle possibilità di rappresentazione della Shoah. La differenza sta tutta però nello scopo finale, perché il lavoro di Nemes, ritagliando il protagonista da una complessità tragica di fatto invisibile, anche se drammaticamente intuibile, era totalmente teoretico, mai empatico. Un monde invece utilizza la sua costruzione concettuale alla deliberata ricerca dell’affetto tra i personaggi, stemperando progressivamente la tensione dovuta al dramma individuale in un abbraccio finale che sa di riconciliazione definitiva con se stessi e con gli altri. O meglio, con se stessi attraverso gli altri.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

2 Risposte a “Trailer per un film che forse non verrà”

  1. Grazie per i buoni consigli Giampiero, l’ho segnato nel listone dei film che cerco e prima o poi ce la farò a vederlo 😉 (sono paurosamente indietro di centinaia di titoli….)
    Un abbraccio

  2. Tomi, ricordati ciò che disse Troisi a proposito dei libri ne “Le vie del signore sono finite”: quelli che scrivono sono tanti, io sono da solo, come posso farcela a leggerli tutti? E lo stesso è per i film.
    ciao, a presto!

I commenti sono chiusi.