Tenet è molte cose e alcune non riguardano il cinema.
Tenet è una speranza, non che il mondo non sia distrutto da un oligarca russo che fa l’andirivieni con il passato, come il film racconta, ma che il cinema riparta e, con esso, anche una vita sociale di un livello tendente il più possibile al normale. Non che Tenet abbia poteri taumaturgici ma nel corso degli ultimi mesi ha assunto un peso simbolico, perché lo stesso Nolan si è impuntato per farlo uscire nelle sale come segno della fine della pandemia e del ritorno alla vita cinefila. Tuttavia, la data del 17 luglio era sembrata già troppo ottimistica a maggio e quindi è dovuta slittare al 26 agosto (anche se da noi, inizialmente, era previsto per il 18 settembre). Il simbolo però è rimasto intatto. Tenet “riapre” di fatto la nuova stagione cinematografica. E l’augurio, con un po’ di sano ottimismo, è che sia davvero una nuova stagione, uguale a tutte le vecchie.
Tenet è il film che mi ha fatto tornare al cinema. Dal Lockdown non ci ero più tornato per i motivi che avevo elencato qui e anche perché, francamente, non ero motivato dalla programmazione. Ma Tenet si può vedere solo in sala. Al di là dei timori e della scomodità. Perché è scomodo, sì. Si fa una coda al botteghino tripla rispetto al normale, perché per ognuno si misura la temperatura, si prende il nome e il recapito telefonico, così, se sei impressionabile, dal giorno dopo ogni volta che ti squilla il telefono strizzi le chiappe perché temi di dover osservare una quarantena (a meno che non facciate come i clienti di Briatore al Billionaire, che hanno dato numeri falsi). Si deve arrivare necessariamente prima, altrimenti il film lo vedi iniziato e non pretendo che voi capiate quanto costi a uno che sul ritardo ha edificato la sua intera esistenza arrivare prima (non per menefreghismo, quanto per una sorta di patologia). Senza contare la mascherina su bocca e naso per le due ore e mezza del film. Se portate gli occhiali, attenzione a non confondere il normale appannamento delle lenti che indossare la mascherina porta come conseguenza con un effetto flou a cui Nolan non stava neanche pensando. Siate prudenti nei giudizi successivi sul film, se proprio non ce la fate a non commentare.
Tenet è il punto più alto della ricerca sul tempo di Nolan. Non è il suo miglior film (Memento, Inception e Dunkirk gli sono superiori per una costruzione più sensibile riguardo alla partecipazione dello spettatore) ma è il lavoro in cui risulta evidente il punto di approdo (temporaneo, s’intende) come sommatoria delle esperienze precedenti. Dopo la vettorialità inversa di Memento, la vertigine stratificata di Inception, il parallelismo quantistico di Interstellar e la compressione dell’alternanza di Dunkirk, Tenet rappresenta la palindromia, la specularità, l’intreccio lungo un asse osmotico, varcabile e riavvolgibile. Due mani intrecciate, come mostrano i personaggi del film per semplificare un concetto altrimenti molto complesso. O come il titolo stesso, Tenet, termine leggibile in qualunque verso, arroccato intorno, non del tutto casualmente, alla lettera N di Nolan, l’asse di origine. La coordinata zero. Il presente.
Tenet è il lavoro in cui l’ambizione di Nolan raggiunge l’apice. Quasi megalomania. Ma io ho amato Cimino, quanto può infastidirmi la megalomania se è supportata da un reale talento? Coerentemente con un percorso artistico che dovrebbe essere considerato integralmente, Tenet somma tutto il passato e va oltre. I prodromi si vedevano già nella scena d’apertura di Memento, quando il flusso delle immagini di Guy Pearce davanti al cadavere di Joe Pantoliano scorreva all’indietro, con una polaroid che rientrava nell’apparecchio, il sangue che risaliva da una parete e una pistola che tornava nelle mani del protagonista sollevandosi dal suolo. Truffaut, e prima di lui Renoir, avrebbero provato un’eccitazione erotica, convinti com’erano che un autore, nella sua intera carriera, faccia e rifaccia sempre lo stesso film, ma l’inizio di Memento, ancora più che la sua struttura à rebours, dimostra che l’idea di uno scorrimento fisico al contrario era già nelle corde di Nolan vent’anni fa. Probabilmente non sono necessarie un paio di lauree in Fisica teorica per comprendere Tenet, come ha detto Mereghetti sul Corriere con apprezzabile gusto per l’iperbole, però è vero che le scorribande tra passato e presente, con ammiccamenti al futuro e una sequela di valori cronologici relativizzati su basi sempre piuttosto mobili hanno come corredo imprescindibile il conoscere perfettamente tutta l’opera di Nolan per apprezzarne le costanti, le aspirazioni e le strutture profonde. Altrimenti diventa un gioco spossante difficile da assimilare. E solo così ci si rende conto del grande progetto sotteso di spazializzare il tempo e fornire una durata tangibile alle dimensioni dello spazio, che è una cosa che nel cinema, al di là delle dichiarazioni di facciata, nessuno ha mai fatto. Diffidate quindi dal consiglio della scienziata al Protagonista di “non cercare di comprendere ma di sentire” che in tutte le recensioni appare come regola metanarrativa di approccio al film: senza la comprensione delle dinamiche cronologiche, Tenet sarebbe un normale film d’azione alla James Bond o alla Mission Impossible (la spettacolarità ipercinetica, l’ossessivo spostarsi da una location all’altra senza alcuna ottimizzazione dei percorsi, le esplosioni a catena ecc.), indistinguibile da tutti gli altri, se non per il fatto che nello stesso spazio alcuni procedono in avanti e altri vanno a ritroso. Le dinamiche cronologiche, appunto.
Pur nell’accuratezza della costruzione, non tutto è perfetto. La sceneggiatura qualche volta forza la sua logica per far quadrare le cose (lo faceva anche Hitchcock, per cui va bene; e Michael Curtiz, quando glielo fecero notare in Casablanca, rispose di non preoccuparsi che non se ne sarebbe accorto nessuno. E così fu). Qualche battuta di dialogo, soprattutto alcune delle risposte nelle intenzioni sferzanti del personaggio del Protagonista (con la maiuscola, è questo il suo nome nel film), interpretato da John David Washington (che per ora continua ad essere solo il figlio di Denzel), mi hanno costretto a fare un breve e furtivo inventario intimo per capire se tutto fosse ancora al posto giusto.
Tenet è però pur sempre la conferma della capacità di Nolan di rivelare la coerenza delle sue strutture narrative attraverso uno stupefacente gusto per il dettaglio. La regola è semplicissima nel suo empirismo: quando la storia vi sembra che stia tendendo all’inverosimile i limiti della comprensibilità del pubblico, interviene il dettaglio che rimette tutto a posto e che rende plausibile l’arditezza della costruzione. Pensate alla trottola di Inception. E se non ve la ricordate, riguardate Inception prima di Tenet, se no sprecherete due ore e mezza della vostra vita. Pur in una logica a volte forzata, come si diceva, tutto torna. E se non torna è solo perché non deve tornare: si pensi sempre alla trottola che nel finale di Inception non si ferma. C’è gente sui forum che ne discute ancora oggi. [Non leggete queste ultime tre righe; SPOILER ALERT!] In Tenet sono un cordino e un tuffo. Non perdeteli di vista, saranno i vostri migliori alleati in quest’ardua impresa di decodificazione, sicuramente non inferiore al tentativo dei personaggi di impedire che l’umanità si estingua.