Facendovi faticosamente strada tra le intercettazioni sulla Juve pubblicate ad arte come se fosse la diciottesima stagione di Anche i ricchi piangono, questione che mi rende sempre più fiero di essermi cancellato dall’Albo dei giornalisti qualche anno fa, forse sarete riusciti a scorgere la notizia a vago sfondo cinematografico di un supplente che in una scuola media di Cremona ha permesso agli allievi di guardare un film splatter con conseguenze, appunto, da film splatter.
Se ve la siete persi, ecco qua almeno il titolo.
Sì? No, non c’è bisogno dell’articolo. Tutti leggono solo il titolo. I più colti occhiello e sommario. E con quello pontificano e diventano esperti di tutto, dall’economia alla politica, dai vaccini alla forma della Terra, dalla Meloni che “ha fatto anche cose buone” alle orde di barbari in gommone che ci invadono per fotterci il lavoro.
Ordunque. Il film è Terrifier di tal Damien Leone, del quale si può dire solo una cosa: che questi nomi li hanno solo i pessimi autori horror e i registi porno anni Ottanta, il che conferma indirettamente una volta di più la prossimità voyeuristica tra i due generi, come già dimostrava quest’estate il bel film di Ti West X: A Sexy Horror Story.
Per chiarire, e parlerò solo en passant di cinema, Terrifier è un film dozzinale che non dovrebbe essere mai mostrato in una scuola, ma in quanto film di merda, non perché vietato ai minori di diciotto anni. Cioè, anche ma non esclusivamente. Per chiarirci meglio: non dovrebbe essere mostrato neanche al cinema. E infatti, ad eccezione di Taiwan e Russia, non è mai stato distribuito in sala. Non hanno ancora intervistato Paolo Crepet o Daniele Novara, credo, ma io il guasto educativo lo vedo in altro, non nel far vedere un film che poi provoca talmente tanta impressione da generare malori diffusi all’interno della classe. E nemmeno nel film proposto, benché esteticamente condannabile.
Non voglio fare il moralista, non lo sono. Il politicamente corretto mi annoia almeno quanto un rosario di penitenza. Quando mi è capitato di parlare di generi letterari, a scuola, gli horror li ho mostrati anch’io. Ma si trattava di alcuni dei migliori film mai prodotti, tra cui Shining di Stanley Kubrick e Il presagio di Richard Donner, in cui il protagonista, putacaso, era proprio Damien, ma di cognome non si chiamava Leone, era solo il figlio del demonio. E per di più c’era un accordo con tanto di firma sul diario da parte dei genitori che permettevano (o impedivano) la visione ai propri figli. È capitato, anche se raramente, che qualcuno non accettasse e sempre per motivi religiosi: nessun problema, questi allievi avrebbero fatto altro. Tutti gli altri, credo che degli anni trascorsi insieme ricordino più Jack Torrance di Alessandro Magno o di Omero.
Ma non è neanche questo il problema. Vi dico una cosa che nell’articolo non c’era. Se si scrive genericamente di un “supplente”, voi che a scuola non entrate dall’esame di maturità pensate subito allo sfigato in attesa da anni in graduatorie senza fine, chiamato in quattro e quattr’otto per sostituire l’assenza improvvisa di un insegnante. Non è così, anche questo è materiale da film. Nella scuola nessuno viene chiamato al mattino, ma l’assenza dev’essere lunga affinché la segreteria si attivi per chiamare qualcuno. Nei casi di assenza improvvisa, il “supplente” è un insegnante della stessa scuola chiamato a svolgere un’ora di supplenza perché ha manifestato la disponibilità a farlo per arrotondare il magro stipendio senza delinquere. Quindi non è (meglio: non dovrebbe) essere uno sprovveduto, ma un professionista che conosce i meccanismi.
Nel caso specifico, il primo errore è far scegliere il film agli allievi. Non si tratta di un caso di didattica partecipativa in cui sono i ragazzi a creare la lezione, trattasi di proverbiale scazzo. Da parte del docente, che per farli stare buoni e non farsi sopraffare, attraverso una pseudo-responsabilizzazione degli allievi secondo il principio “tu l’hai scelto e mo’ te lo vedi”, punterà a trascorrere un’oretta o due senza particolari rompimenti di palle. Come ipnotizzare il neonato davanti ai cartoni animati per tre ore per farlo stare buono. Se proprio non si vuole ricorrere al proprio smartphone per questioni scolastiche (c’è gente che ne fa una questione di principio), nell’epoca in cui ogni classe ha un collegamento internet istituzionale (siamo a Cremona, non ad Ariano Irpino in attesa che vengano spesi adeguatamente i fondi per il terremoto dell’80), è proprio impossibile non verificare cosa gli allievi abbiano scelto. Nessuno chiede di essere esperto di ogni film del cazzo che un regista dalle ambizioni porno decida di realizzare con un cast e una troupe di amici, ma se uno si degnasse di digitare su Santo Google, anche se lo digitasse male (conosco gente che digita Yuo tub per cercare video), troverebbe questo:
Quindi sarebbe un caso ideale di culpa in vigilando, ossia il mancato controllo da parte di un tutore a cui sono stati affidati degli individui non (ancora) responsabili, uno dei pochissimi casi in cui un insegnante possa essere sanzionato, anche pesantemente. La cosa tuttavia che m’indigna di più non è il caso in sé, che il blog utilizza solo per il suo pretestuoso uso e consumo, ma il principio generale. Non so francamente se nella mia vita abbia visto più film di merda o insegnanti stupidi. Ci penso spesso, ma non arrivo mai a una risposta definitiva. Il principio generale è che mi è capitato troppe volte di vedere applicare dagli insegnanti scorciatoie che li portino nel modo più bergsonianamente rapido possibile ad arrivare alla campanella d’uscita, quasi come se incidessero tacche sui muri della cella in cui sono stati rinchiusi per scontare la loro pena. Questi Silvi Pellici della docenza sono sempre un danno per chiunque, soprattutto per gli allievi, nonostante questi ne gradiscano l’attitudine a dilatare il tempo riservato all’intervallo. Ad esempio, in questi anni mi è capitato il caso di un insegnante che chiameremo convenzionalmente Fabio, il quale, incaricato di effettuare spesso le ore di sostituzione dei colleghi assenti, ossia il punto da cui siamo partiti, decideva praticamente sempre di accompagnare le classi in cortile. Premettendo che non sto parlando di una scuola dell’infanzia (se la chiamate asilo le maestre s’incazzano), in breve tempo tutti gli allievi della scuola invocavano il cosiddetto Fabio, al punto da esultare se uno dei loro insegnanti fosse stato assente, magari lottando in terapia intensiva con una polmonite bilaterale causata dal covid, e mugugnando di delusione se quello stesso insegnante, ancora pallido di degenza, fosse entrato in classe, inatteso; e addirittura protestando, se avesse magari palesato l’intenzione di spiegare, ‘sto noioso di merda. Perché così non sarebbero andati in cortile a giocare. In men che non si dica, l’esempio di Fabio fu seguito da altri insegnanti che prima non s’azzardavano per timidezza personale, per cui la scuola si era svuotata e quattro-cinque classi gravitavano contemporaneamente e disordinatamente in cortile, in una copia in piccolo di un’estate ragazzi di un qualunque cazzo di oratorio. Soltanto che era ancora marzo. E soltanto che non si trattava di un oratorio.
Capito? Chissenefotte di Terrifier, alla fine? È la voragine che si apre sotto Terrifier ad essere davvero terrificante, se si rapporta a un mondo della scuola che possiamo perdonare se non conosce i film, ma non possiamo farlo se annovera insegnanti che non mostrano nessuna passione per quello che fanno. Pardon: dovrebbero fare.
Immagine di testa geniale e appropriata. Ahahhahahh
Non commento il resto, che già ci sappiamo di essere sulla stessa linea e mi arriva il sangue al cervello facile su certi temi, quindi mi fermo subito.
Invece chiudo (di poco off-topic) con uno dei ricordi più belli (forse l’unico) di una formazione scolastica che ho vissuto, in molti casi non per colpa dei docenti, in modo costrittivo, quasi prigionesco: al Liceo (Scientifico) il mio docente di Filosofia (l’unico che mi ha segnato) assieme al docente di Letteratura di un’altra sezione (che continuo a sospettare sarebbe stato perfetto come insegnante per me) decisero di organizzare dei cineforum (con logiche sensate ed educative, sia chiaro) fuori orario scolastico, in tempi in cui avevo già maturato qualcosa da appassionato, incontri in cui non solo si vedeva ma si rifletteva. Fu lì che vidi per la seconda volta Shining e per la prima volta il Nosferatu di Herzog (uno dei miei preferiti sul tema, forse IL), e non ricordo nulla di quel che si disse e ci dicemmo, ma ricordo che fu bello. Anzi no: bellissimo.
Fu lì forse che capii, anche inconsciamente, che per insegnare (anche con sensatezza e criterio) serve passare per il godimento. Ed è per questo che ancor oggi, anche nelle mie passioni come il cinema, mi faccio guidare sempre dal principio del piacere e del godimento, al di là di ogni necessità di rimpinzare il CV con visioni importanti e “necessarie”. E poi si arriva “magicamente” pure là – ma guarda un po’!
E questo è quanto.
Ciao, Giampiero!
Grazie Alessandro,
colgo l’occasione del tuo prezioso intervento per sottolineare una cosa che forse, nel furore iperbolico del post, non è risultata chiara: proprio perché di insegnanti che lavorano con criterio e passione ce ne sono parecchi, quelli (e comunque sono tanti, troppi) che invece esercitano la professione con pressapochismo, ignoranza e indifferenza dovrebbero cambiare mestiere e siccome non lo faranno mai, perché è mestiere comodo e sicuro, bisognerebbe accompagnarli alla porta. Perché ne bastano solo alcuni per danneggiare la crescita dei ragazzi e condizionare il giudizio su un’intera categoria. Come quei politici corrotti che fanno dire ai più “è tutto un magna magna” o i preti considerati tutti pedofili. Non tutti.
E il cineforum pomeridiano che ricordi mi rammenta quello che il padre del nostro insegnante di educazione fisica teneva nei pomeriggi al tempo della scuola media. Copie in 16 mmm e parlo di quasi 40 anni fa: “Il ragazzo selvaggio” di Truffaut, “La febbre dell’oro” di Chaplin, che provocò tantissime e sonore risate nel mio insegnante di educazione artistica, risate che ci sorpresero moltissimo perché, data la sua grinta, non pensavamo ne fosse capace. Forse anche “Piccolo grande uomo”, ma solo forse, non vorrei confonderlo con un periodo successivo. Ma non ho nostalgie alla Nuovo cinema Paradisio o alla Fabelmans di quelle visioni. Grazie a mio padre, vedevo comunque un sacco di film e all’epoca mi commuovevano solo il calcio e i gol di Bettega. Come adesso, più o meno.