A volte il cinema arriva prima. A furia di inventarsi scenari partendo da una realtà già folle di suo, giunge sempre a qualcosa che ha discrete possibilità di anticipare i fatti. Due esempi, solo perché mi vengono in mente in questo momento: Gangsters in agguato, film costato un paio di dollari a Lewis Allen nel 1954 con Frank Sinatra che da una casa prospiciente vuole uccidere a colpi di fucile il Presidente degli Stati Uniti nove anni prima di Kennedy (era Eisenhower, senza che però fosse mai citato). Oppure Operazione diabolica, in cui Richard Brooks, in uno dei suoi film meno riusciti, già nell’82 prefigurava un attentato di matrice islamica al World Trade Center. Certo, chi lo sa se, a volte, non sia il cinema a ispirare gli eventi, soprattutto nei criminali-cinefili, categoria forse non ancora mappata adeguatamente – perlomeno per quanto ne sappiamo, anche se in I tre giorni del Condor Robert Redford, finto bibliotecario per la CIA, aveva il compito di trovare nei romanzi qualunque trama nascosta che potesse stimolare atti terroristici.
In questi giorni in cui non si parla d’altro che della propagazione italiana del Coronavirus, forse l’unico argomento capace di spostare l’attenzione di un intero paese dai presunti favori arbitrali della Juve, e pur non essendo ancora sprofondati nella piena isteria, anche se il flusso è così liquido che potrei essere smentito prima di essere arrivato alla fine di questo post, qualunque film apocalittico o post-tale sembra richiamare inevitabilmente la situazione attuale.
Di pellicole angoscianti sugli effetti di un virus letale c’è una sterminata filmografia. Film che magari non sarebbe il caso di vedere adesso, ma fra un mesetto, magari sotto un’altra luce. Città deserte (L’ultimo uomo della terra di Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra di Boris Sagal, Io sono leggenda con Will Smith: tutti tratti dallo stesso romanzo di Richard Matheson), scenari postnucleari (The Road di John Hillcoat, anche se nemmeno nel romanzo di quel monumento vivente che è Cormac McCarthy si chiarisce quale sia la natura della catastrofe che ha colpito l’umanità, oppure il recente Light of my Life di Casey Affleck, più attinente al momento) e zombi che hanno sostituito metaforicamente l’umanità (28 giorni dopo di Danny Boyle).
La mia personale inquietudine, forse per averli visti da bambino mentre si aspettava un imminente attacco atomico early eighties style, va sempre a Survivors, lo sceneggiato britannico (all’epoca si chiamava in questo modo ora demodé) creato da Terry Nation, in cui lo 0,02% della popolazione mondiale sopravvissuta a una pandemia si spostava in scenari lunari mai, nemmeno per sbaglio, toccati dal sole; e a Cassandra Crossing di George Pan Cosmatos, nel quale si risolveva il problema con mezzi draconiani che sarebbero piaciuti a parte (e che parte!) della politica nostrana, indirizzando un treno pieno di stelle (Sofia Loren, Richard Harris, Ava Gardner: sul viale del tramonto, ok, ma non era comunque un buon motivo per far fare loro quella fine) su un ponte pericolante per isolare un virus fatale propagatosi nel convoglio.
Non è un caso, inoltre, che tra derrate alimentari assaltate nei supermercati e Amuchina rara quanto il primo numero di Diabolik, ci sia stata un’impennata nel noleggio anche del film più vicino alla situazione di questi giorni, che è Contagion di Steven Soderbergh, riferito solo nove anni fa all’influenza suina ma che va bene per qualunque epidemia, come il nero nell’abbigliamento. Anche qua immancabile cast stellare (Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Jude Law, Kate Winslet, Marion Cotillard), perché è sempre doloroso vedere il volto conosciuto morire tra mille spasimi piuttosto che il carneade, per il quale ci si limita a dire lo stesso «vabbe’» che si riserva all’epidemia se rimane confinata a Wuhan. Malgrado ci sia un tutt’altro che velato sottotesto razzista (la colpa è dei cinesi e delle loro zozze pratiche alimentari), resta un film angosciante, anche per la banale casualità con cui il virus si inocula nel Paziente zero, soprattutto se, come da noi, si fa fatica a rintracciarlo. Se siete impressionabili, non guardate qui sotto.