Postilla (non più) indignata alla Notte degli Oscar

Postilla (non più) indignata alla Notte degli Oscar

Se non conoscessi i soggetti in questione, dovrei indignarmi. Un’altra volta. Come sempre. Non siamo ai livelli dello scorso anno, quando la nostalgia per il cinema muto sbaragliò tutta la più attrezzata concorrenza, ma per certi versi, guardando bene, anche di più. Per una sfilza di motivi. Ma sarò breve.

Come sapete, ha vinto Everything Everywhere All at Once del duo Daniel Kwan e Daniel Scheinert, detti i Daniels. Una coppia di parrucchieri che fanno film ruffiani e al momento giusto. Non commenterò il premio: esigo che sia la storia a darmi ragione (scusate la pretesa): per farvi capire, Everything Everywhere All at Once ha vinto gli stessi Oscar de Il ponte sul fiume Kwai, di Schindler’s List (!!!) e di due miei culti come Lawrence d’Arabia e La stangata. Dovrei essere furioso e invece credo sia la prova che la Notte degli Oscar stia diventando una farsa che con il cinema non ha un cazzo a che fare. Si sforza di premiare la correttezza politica, non il valore artistico dei film. E diciamocelo, con tutta ‘sta Woke e Cancel culture, il cazzo ce l’hanno un po’ scassato. Anzi, tutt’altro che poco. [Che non significa siate pure razzisti e disprezzate tranquillamente le minoranze, non siate beceri: significa solo esageruma nen, come diciamo da queste parti]

Per di più Everything Everywhere ha vinto anche l’Oscar alla sceneggiatura. Un film in cui a un certo punto si fa fatica a capire che minchia stia succedendo. Quasi un invito ai giovani sceneggiatori a concepire script sovrapposti e volutamente nebulosi e a pensarsi coestensivamente dei geni incompresi. Ne ho conosciuti tantissimi, ma a me, leggendole, ‘ste sceneggiature erano sempre sembrate stronzate. Ovviamente mi sbagliavo e già me li vedo tutti con il dito puntato: «Eh, eh? Chi cazzo era il tronfio visionario, eh, vecchio coglione?»

E poi, il piccolo e tenero Ke Huy Quan, lo Shorty urlante di Indiana Jones, il frugolo smarrito dei Goonies. Miglior attore non protagonista. Con tutto quel ben di Dio di attori che ha battuto. Davvero devo commentare? Anche lui era talmente incredulo al momento della premiazione che è scoppiato a piangere sul palco che me lo sarei accarezzato, prima di prendergli la statuetta dalle mani e di riporla con cura in quelle della valletta dicendogli «Lascia fare, è stato solo tutto un sogno. Dormi…dormi…»

La dedica in lacrime di Ke Huy Quan

Non ha vinto Cate Blanchett, come se il pallone d’oro, invece di darlo a Messi o Ronaldo, lo avessero dato a Petagna. Non ha vinto Justin Hurwitz, ha vinto Volker Bertelmann per Niente di nuovo sul fronte occidentale, perché, in questi tempi in cui tra pandemia e guerra tutti i parametri sono andati a puttane, un film di guerra ha sicuramente una colonna sonora da hit parade, come tutti sanno. Non li avete mai visti i documentari sui bombardamenti di Cassino commentati al ritmo di Swing?

Non ha vinto Close come miglior film straniero, ha vinto ancora Niente di nuovo sul fronte occidentale, che ha preso anche la irrazionale statuetta per la fotografia di James Friend. Un film distribuito da Netflix, in cui per apprezzare la fotografia devi avere in casa un TV 4K HDR 75 pollici con tecnologia Quantum Dot, altrimenti vedi solo fumo e oscurità. Non credo che all’Academy manchi, quindi hanno certamente ragione loro.

Alla fine ne ho presi tre, come avrete già verificato, perfidi avvoltoi che non siete altro. E in questo clima scriteriato ne sono quasi soddisfatto. Quasi. Ha vinto l’orrido ciccione con la faccia da pirla che vedete nella foto sotto il titolo. Ci sta, come dicevo. Ha vinto Paul Rogers per il miglior montaggio, l’unico premio che, in un mondo perfetto, avrebbe dovuto vincere il film invece trionfatore. Ha vinto la sceneggiatura non originale di Women Talking, incuranti di aver dato un premio finalmente sensato in questo bailamme di insensatezza.

Anche se ho sbagliato il pronostico, ma ormai non è più una notizia, mi ha rallegrato l’Oscar a Jamie Lee Curtis come miglior attrice non protagonista. Indovinate per quale film? Mi fa piacere perché gliel’avrei già dato esattamente quarant’anni fa per Una poltrona per due, quando chiarì a Dan Aykroyd specchiandosi nuda che la pensione non era l’unica cosa che si pagasse, lì da lei.

Mentre nella diretta Sky si crucciavano di un’Italia rimasta senza premi (cortometraggio e trucco), io, in questo gioco di bussolotti impazziti, restavo ancora una volta incredulo di come i due – di gran lunga – migliori film in lizza, Gli spiriti dell’isola e I Fabelmans, fossero rimasti senza neanche un premio.

Ma si tratta dell’Academy, che è un organismo che segue logiche particolari e spesso incomprensibili e in cui il buon gusto è solo il corollario di un qualcosa che altrove viene chiamato cinema.

Spero solo che il ludopatico nascosto tra voi abbia vinto: i bookmakers li avevano azzeccati quasi tutti. Perché non si occupano di cinema, ma possiedono una sottile capacità di penetrare nelle menti della giuria dell’Academy, affinata da anni e anni di vita vissuta in mezzo ai cavalli.

Jenny, l’amata asinella di Colin Farrell ne Gli spiriti sull’isola, sul palco della Notte degli Oscar con Jimmy Kimmel.
Ma così come sono stati premiati attori e film al posto di altri, anche questa non è la vera Jenny, rimasta in Irlanda.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

Una risposta a “Postilla (non più) indignata alla Notte degli Oscar”

  1. ahahahahahha il ludopatico aveva puntato sui tuoi pronostici per incassare… risate!
    Che poi sono le sole cose che contano, assieme al cinema e alla musica.

    PS: ovviamente risate e non scherni, ça va sans dire…
    PS2: se avessi seguito i bookmaker avrei incassato 50 centesimi (e neanche una risata) puntando un milione di euro: meglio Frasca!

I commenti sono chiusi.