Se non fosse il pretesto per fare una grigliata serale con gli amici, diciamoci la verità, di Halloween non ce ne fregherebbe un cazzo di niente. «Non siamo mica gli americani», diceva un sacco di anni fa un idolo berciante delle folle acefale. Però, è un momento con cui, anche non volendo, bisogna fare i conti. Infatti, ho un figlio che vorrebbe mascherarsi da Michael Myers, perché è convinto sia una skin di Fortnite (lo so, ovvierò al più presto facendogli vedere l’originale, con buona pace degli psicologi dell’infanzia); Mubi per l’occasione mi propone gli stessi horror mediocrini da almeno tre anni (quest’anno ha aggiunto due dei film della Trilogia horror di Tourneur ― capolavoro! ― ma perché due e non tutti e tre?), mentre l’IMDb, in questi giorni, stila classifiche dei titoli più interessanti del 2023 e quindi mi ritrovo una lista di film di mostri (nel senso che è un mostro chi li ha girati) a eccezione solo di un paio (Evil Dead Rise e Talk to Me), che si ergono palesemente sugli altri. Tutti film americani, però. TUTTI. Come se all’estero non si realizzassero horror oppure non valesse la pena di vederli. Eppure c’è una recente tradizione spagnola particolarmente interessante (lasciate perdere l’ultimo di Paco Plaza, Hermana muerte, dal 27 ottobre su Netflix, perché stupido, prevedibile e scritto male, a dispetto di una fantastica fotografia). E poi c’è qualche raro gioiellino che ti fa recuperare la fiducia nel genere (non umano, genere come filone narrativo).
Si tratta di un piccolo film argentino, Cuando acecha la maldad, titolo internazionale When Evil Lurks, scritto e diretto da Demián Rugna, ovviamente non entrato nei radar delle classifiche dell’IMDb, perché se fosse stato deliberatamente ignorato sarebbe davvero delittuoso. Un horror rurale stupefacente. Nella prima mezz’ora continuavo a rivedere alcune scene perché le soluzioni adottate mi lasciavano piuttosto incredulo. E la storia che racconta è allucinante. Il primo atto del film, appunto, folgorante. Ve l’accenno, tanto chissà quando e se mai arriverà in Italia, avrete quindi tutto il tempo di dimenticare quello che vi sto dicendo. Ammesso che vi interessi, ovviamente. Ma in tal caso non sareste arrivati neanche a questo punto.
Due fratelli campagnoli sentono degli spari notturni in un bosco poco lontano. La mattina trovano un cadavere orrendamente mutilato e frugando tra le sue cose capiscono che si stava recando a casa di una loro vicina. Giunti a casa della donna, vengono accolti con circospezione da lei e dal figlio, che effettivamente attendevano l’uomo orrendamente mutilato: questi era un “pulitore”, un esperto con il compito di purificare i corpi degli encarnados, dei posseduti dal demonio. E che fattezze hanno i posseduti dal demonio? Sono verdi come la nostra amica Regan de L’esorcista evocata qualche post fa?
No, sono così.
Prendetelo come un perfido tentativo di Jump Scare incorporato nel blog.
Fanno schifo. Sono marci. Ma marci davvero. In piena decomposizione. Fanno vomitare. Ora, il “pulitore” non c’è più e non è che lo possa fare chiunque: ci vogliono esperienza e degli strumenti particolari. Tu cosa faresti? Gli spareresti in testa? Ebbravo, così il demone si libera da quel corpo e comincia a vagare nel pueblo. Lo bruceresti? Giusto per farlo incazzare ancora di più. Accenderesti la luce per vederci meglio. No, l’energia elettrica lo fa vivificare nelle ombre. Cosa fanno allora i protagonisti del film, incalzati dal prorietario terriero che hanno informato e che teme che l’orrendo contagio si espanda nell’intera regione? Lo tirano fuori dal letto in una coperta che cola, lo mettono in un pick up e lo portano lontano, così saranno cazzi di altri. Un perfetto esempio di solidarietà tra le genti. Solo che una volta arrivati abbastanza lontano da sentirsi al sicuro, nel ripiano del pick up il lardoso in decompisizione non c’è più: è caduto da qualche parte. C’è solo da sperare che sia caduto abbastanza lontano dalle loro case per non far più sentire il suo orrendo lezzo.
Inutile che vi dica che non va proprio così.
Non vado oltre. Ma già così è uno dei teaser più uncinanti che mi sia capitato di aver visto negli ultimi anni (l’avete capita? Hook, l’uncino, l’altro nome del teaser. Fiacca, concordo). Si tratta di un horror che per circa un’ora è ambientato alla luce del sole. E già questo mette al riparo dal cliché, perché di horror alla luce del sole non ce ne sono tantissimi, proprio a causa della difficoltà antropologica di far paura di giorno (a memoria: Midsommar, A Quiet Place, Get Out, Non aprite quella porta, lo stupendo The Wicker Man ― un horror che è quasi un musical o un musical dell’orrore, fate voi. E che canzoni! Avete mai visto la sequenza di Britt Ekland ossessa che balla nuda sulle note di Willow’s Song? No? Malissimo. Ovviate così). Sembra dapprima un racconto di difficile convivenza tra vicini, poi di complesse relazioni dopo il divorzio. Non è possibile che ci sia qualcosa di tanto inspiegabile, alla luce del sole. Solo alla fine, dopo essere stati catturati dal meccanismo narrativo, si capisce che il regista, Rugna, sta metaforizzando l’orrore, l’ossessione del contagio, per inserirlo nei quotidiani conflitti di ognuno, amalgamando di fatto l’identificazione in uno specchio generale capace di rivolgersi a una larga fetta di pubblico.
La regia è puntuale, precisa, capace di porsi al servizio della tensione. Accompagna lo spettatore, lo conduce in bocca al pericolo, giocando in modo quasi antitetico rispetto a quelle puttanate che ci ammanniscono ormai dagli anni Novanta e che tutti coloro che non osano essere scurrili chiamano “horror moderno”. Perché con la sua cinepresa Rugna segna il percorso, anticipa l’evento permettendo agli spettatori di predisporsi nel punto giusto, quello in cui l’evento avverrà. Il contrario di quella scorciatoia facile che è il Jump Scare, che ormai, alla sesta citazione disgustata (anche recente), avrete capito che odio profondamente. Forse a causa della mia omonimia. In pratica, quello operato da Cuando acecha la maldad è l’abbandono di ogni prevedibile sorpresa, ché se ‘sti registi dell’horror moderno, che chiamo anch’io così poiché non dico le parolacce, sapessero cos’è un cazzo di ossimoro, probabilmente la smetterebbero di fondare ogni loro puerile storia su questo banale assunto. BUH! BUHHH! e BUHHHH!!! spavéntati! E basta, andate a zappare e non ci rompete più i coglioni!
La successione delle inquadrature di Rugna, invece, costruisce sapientemente la tensione: ti fa capire perfettamente quale sia la linea di diffusione del contagio e ti predispone nell’attesa che si manifesti, secondo quel principio che i francesi, quelli bravi, colti e capaci di spiegarti con un effetto di senso perché magari uno stormo di corvi si manifesti in progressione geometrica dietro le spalle di Tippi Hedren ne Gli uccelli di Hitchcock, i francesi, dicevo, che hanno una definizione teorica per tutto, chiamerebbero Focalizzazione spettatoriale. Vale a dire che il pubblico ne sa più dei personaggi e che, quindi, se tu regista mi fai il Jump Scare sei un coglione senza speranza, perché la tensione risiede nel suo addensarsi in una situazione di pericolo nota, non nell’imprevedibilità che genera l’attimo di paura istintiva. La focalizzazione spettatoriale è il principio primo della suspense, se ancora la suspense, come meccanismo, avesse un senso in questo panorama horror sempre più asfittico e privo di prospettive, nel quale nessuno la usa e tutti urlano come matti per farti paura nel modo più banale possibile. D’altronde Cuando acecha la maldad significa “Quando il male è in agguato” e se deve stare in agguato, pretende che tu lo sappia che è lì, pronto a intervenire, altrimenti si sarebbe intitolato Cuando el mal llega inesperadamente e ti potevi sbizzarrire facendo tutti i primi piani improvvisi di mostri urlanti che volevi.
In pratica, il pubblico sa quali sono i veicoli di diffusione del Male, i personaggi (o gli animali) che lo trasmettono, e proprio perché lo sa li attende, sperando che il contagio non si conclami ma sapendo allo stesso tempo che è impossibile che non succeda e allora la domanda si sposta e ci si comincia a chiedere in che modo si verificherà. È a quel punto che la regia di Rugna sciorina il suo campionario per condurre gli spettatori sul punto d’attesa: dilatazione delle prospettive, piani simmetrici, gerarchie di messa a fuoco, piani dislocati rispetto all’azione principale. Il risultato è un horror intelligente, cosa rarissima, e così coinvolgente da farmi dimenticare spesso il meccanismo che lo ha prodotto (le cose che vi ho appena detto le ho pensate dopo, non durante, proprio perché ero preso dalla storia. Situazione particolarmente rara). Nella parte finale probabilmente c’è qualche concessione a temi già ampiamente sfruttati (la defamiliarizzazione dell’infanzia) ma il raccapricciante risvolto finale in cui la progenie fagocita parte della sua genealogia mi fa rimpiangere che in Italia non ci sia un mercato per film come questi, ma solo per porcate come L’esorcista del Papa, anestetizzati e incapaci di provocare qualunque brivido.
Come dite? È perché c’è Russell Crowe come protagonista? Certo, ormai è horror già da quello.
Buon «dolcetto o scherzetto» a voi. Se avete meno di 13 anni. Se ne avete di più, occhio alla glicemia e alle emozioni forti.