Peggio di un seppuku (dopo gli Oscar)

Peggio di un seppuku (dopo gli Oscar)

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Questa la mia prima reazione all’annuncio del miglior film. I segni del cuore!!!! Stronzo già dal titolo italiano (per lo meno quello originale è l’acronimo che indica la protagonista, figlia di adulti non-udenti): sicuramente il premio più stupido e ingiustificato fin dal 1929, anno del primo film premiato. Non ricordo esempi peggiori di questo, eppure di Oscar a cazzo ne sono stati dati un sacco. Ma in confronto, Il discorso del re, Chicago (!!) e Shakespeare in Love sono Quarto potere, Quei bravi ragazzi e 2001: Odissea nello spazio, tanto per citarne altre tre ignorati dal premio per il miglior film.

Ho fallito clamorosamente quasi tutti i pronostici. Ne ho presi solo tre: Jessica Chastain, Drive my car come miglior film straniero (bella forza!) e il muto come miglior attore non protagonista. Pensate se avesse parlato! L’avrebbero nominato quantomeno Papa.

Un massacro. Ricapitolando, ho evitato il seppuku, perché Drive my car non ha fatto incetta. Ed è già qualcosa. Purtroppo, però, dovrò scontare la peggiore delle punizioni, che qualcuno già pregusta: la foto con la sciarpa dai colori immondi. Se volete godervela, andate subito al fondo. Se no, pazientate, tanto è lì che vi aspetta.

Per dignità non commento i premi, perché non vorrei fare la fine della volpe con l’uva. Dico solo una cosa, giusto per condividere con voi l’irrazionalità del tutto. L’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale è andato allo stesso film capace di farmi sganasciare dal ridere di cui sopra: praticamente ha vinto una sceneggiatura che riprende quasi integralmente una storia concepita e sviluppata da altri, nella fattispecie tre francesi. E cosa ha aggiunto di così determinante la versione americana a quella francese, se La famiglia Belier, l’originale, a suo tempo fu bellamente ignorato dagli Oscar? Sono aperto a ogni considerazione, per cui vi invito a dire la vostra, perché il non capire mi rende piuttosto nervoso.

E ne dico un’altra, già che ci sono, così ci riflettiamo tutti un po’ su: I segni del cuore non è passato dalle sale, dopo il Sundance è stato acquistato direttamente da Apple tv (per 25 milioni di dollari, un’enormità). «Non sei contento?» potreste obiettare, vista la mia ormai proverbiale pigrizia, già espressa più volte su queste pagine. Non è questo il punto: Roma di Cuarón di Oscar ne ha vinti tre ed è passato solo su Netflix. Se avessero vinto Il potere del cane e Don’t Look Up sarebbe stato lo stesso, con l’aggravante che il pubblico non s’è quasi accorto di essi durante il breve periodo in cui sono stati in sala. È il futuro, bellezza. Piaccia o no, il discrimine s’è perso, con buona pace degli inguaribili integralisti del grande schermo. È però il marchio Apple alle spalle che un po’ mi fa pensare. Ma siccome non sono complottista e non penso che in nessuna delle tre dosi di vaccino mi abbiano iniettato un feto, mi taccio.

Andate pure avanti voi, se pensate sia il caso, che io, qua, sul deltoide sinistro, ho il bambino che mi piange.

La famiglia Belier in prolungato “silenzio stampa” a causa della discriminazione patita dall’Academy

Al di là del grottesco risultato, non credo che questa sia un’edizione da ricordare particolarmente, anche perché le cose più importanti sono stati un atto mancato e uno che sarebbe stato meglio lo fosse.

Alla fine non ha parlato Zelens’kyj, come si vociferava potesse fare. Vero che si tratta di un ex attore, vero che ha un milione di ragioni per appellarsi all’aiuto dell’intero mondo, ma presentarsi dovunque e non solo nei contesti adeguati rischia di farlo diventare una sorta di questuante in perenne tour virtuale. E l’Ucraina necessita della concretezza degli atti, di una solidarietà capace di andare oltre l’adesione di facciata, cosa in cui gli americani sono campioni assoluti: il termine radical chic nacque grazie all’appuntita penna di Tom Wolfe in una situazione che per molti versi mi è sembrata del tutto simile. Nel gennaio del ’70, il compositore Leonard Bernstein e la moglie invitarono nel loro lussuoso attico di Park Avenue alcuni influenti membri delle Black Panthers per una raccolta fondi tra i loro facoltosi amici del jet set. Tutti solidali e tutti partecipi al grande dramma sociale afroamericano. A distanza di 50 anni, il problema nero non si è spostato di una virgola ma la coscienza degli intellettuali newyorchesi ne ha tratto un tonificante giovamento per almeno un paio di mesi.

Bernstein e la moglie con il gioco di società del gennaio ’70

Altro increscioso episodio. Chris Rock, sul palco, fa una pessima battuta sul drastico taglio di capelli di Jada Pinkett Smith, moglie del premiato (qualche minuto dopo) Will Smith. Tra l’altro, mi scuserete la notazione nostalgica, Chris Rock fa la stessa identica battuta di merda che una quarantina di anni fa mio padre rivolse per sdrammatizzare a un mio cugino di secondo grado, affetto dallo stesso problema e malgrado mia madre, nei giorni precedenti, si fosse tanto raccomandata di far finta di niente. Will Smith non capisce subito e infatti ridacchia, la moglie invece comprende immediatamente e si spazientisce. Allora Will Smith, con fare da tamarro alpha il cui ritardo di comprensione ha acceso una miccia al culo, si avvicina minaccioso a Chris Rock e gli sferra un manrovescio, quello stesso manrovescio che mia madre avrebbe tanto voluto assestare a mio padre dopo l’imbarazzo provocato nel salotto di casa. C’è modo e modo e quello mostrato da Smith è una palese affermazione di tribalismo maschilista che solo i più triviali possono scambiare per reazione romantica. Poi, una volta sul palco per il discorso di ringraziamento, Smith ha pianto, giustificandosi con il troppo amore che rende folli, mentre Anthony Hopkins, lui sì Oscar meritatissimo lo scorso anno per The Father, osservava con humour tutto britannico che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una serata improntata alla pace. Tutto in vacca, come è giusto che sia. Anche se molti sospettano la messa in scena. Che se mi consentite, sarebbe ancora più triste e inopportuna. E quindi, di conseguenza, probabile.

Ecco finalmente la foto che devo scontare e che state aspettando, sapendo quanto mi costa.

La foto con la sciarpa dell’Inter (si ringrazia Nicolò per la gentile concessione)

Come dite? Non vale? Come, non vale! Certo che vale. Avevo scritto testualmente che avrei fatto una foto «con l-a sc-sc-iarp-a dell’I—-Int–er». La foto c’è ed è con la famigerata sciarpa. Innegabile, non si può dire il contrario. Siete voi che colmi di spirito vendicativo, giusto per ridere alle mie spalle, avete immaginato l’unica posa possibile. Ma vi pare che la metterei al collo nella settimana che porta a Juve – Inter? Dài, siamo seri. Non aspettate che il gallo canti tre volte per vedermi capitolare.

Il debito è pagato. Così è se vi pare, facendo i debiti scongiuri. Con una promessa: che non per questo il blog sarà più prudente, in futuro. Sai che noia, se no?

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

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