La notte degli Oscar vista in diretta

La notte degli Oscar vista in diretta

Abbandonata da tempo l’idea di fare previsioni, poiché nel corso degli anni abbiamo inanellato figure pessime, almeno quanto l’autoinflazionato Oscar, con la sua smania di premiare film improbabili per mostrare quanto sia politicamente illuminato. Quest’anno facciamo qualcosa di diverso: lo commentiamo in diretta. Mentre si svolge. Ho deciso che starò sveglio tutta la notte. E man mano commenterò quello che c’è da commentare. Come viene, senza pensarci troppo. Istintivo e impulsivo. Come sempre, alla fine.

Un avvertimento. È notte fonda e quando avrò visto e scritto tutto, avrò solo voglia di andarmene a ruzzolare nel letto, quindi non rileggerò nulla. Chissenefrega. Qualunque refuso troverete, resta lì. Consideratelo corretto mentalmente da voi.

Iniziamo.

Miglior attore non protagonista – Kieran Culkin per A Real Pain

Sono la persona meno indicata. Avrei fatto vincere chiunque ma non lui. Non che mi stia antipatico, anche se è pettinato perennemente di merda (vabbe’, parlo io), ma A Real Pain di Jesse Eisenberg è un film che mi risulta proprio insopportabile. Un tour della Polonia in omaggio a una nonna defunta che diventa un film su un tour dell’Olocausto prevedbile, scontato, con lungaggini inutili e fastidiose, scene girate con uno sguardo vuoto, senza un’idea che non sia quella di accendere la cinepresa e recitarci davanti. Film inutile per il quale molta critica ha gridato al miracolo. Mi hanno proposto di farne una recensione per una rivista e ho rifiutato. Meglio ignorarlo che smerdarlo. Di Culkin meglio tutti: il Norton purista folk di A Complete Unknown, lo Yura Borisov, muto e perennemente sbagliato di Anora, il Guy Pearce soverchiatore allegorico di The Brutalist e soprattutto il fantastico Jeremy Strong, avvocato del diavolo del giovane Trump di The Apprentice. Ha vinto il peggiore. Capita in questa serata, sempre molto anomala.

Miglior sceneggiatura originale – Sean Baker per Anora

Ci può stare. Sean Baker mi piace, anche se penso che Anora non sia a livello dei suoi film migliori. È una sceneggiatura strana, piuttosto libera, come sempre in Baker, a volte può sembrare slabbrata, ma invece tiene, anche se va da una parte e dall’altra fingendo di non avere una struttura. Tiene perché il senso del racconto di Baker porta le sceneggiature a integrarsi perfettamente in quello che già in partenza è il suo progetto visivo. Tiene perché è scritta in stretta funzione delle immagini già connaturate alla scrittura. Batte almeno due sceneggiature superiori, The Brutalist e The Substance. E questo potrebbe essere il viatico per diventare favorito come miglior film. Vedremo fra poco (si fa per dire). Tra i candidati c’era anche A Real Pain. C’è stato pudore, almeno. Evviva.

Miglior sceneggiatura non originale – Peter Straughan per Conclave

Farcela in mezzo al film su Dylan, a quello di Audiard su trans che un tempo furono boss del narcotraffico e ai ragazzi della Nickel nati da un romanzo premio Pulitzer è una bella impresa. Ma la sceneggiatura di Conclave è potente e il concilio che deve eleggere il nuovo papa, grazie anche al romanzo originale di Robert Harris, che è uno che ha messo i nazisti nel cuore dell’Europa ben dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Fatherland e ha scritto il Munich originale poi portato al cinema da Spielberg, è un incubo incarnato da politici corrotti che invece del doppiopetto indossano l’evergreen della poropora cardinalizia. Fra 100 anni, quando un conclave si dovrà pur fare, sarà impossibile non pensare che capitino i loschi intrighi raccontati dal film di Berger. Intrigante. Appunto.

Miglior attrice non protagonista – Zoe Saldaña per Emilia Pérez

Probabilmente Felicity Jones, nella parte della moglie ungherese di Adrien Brody in The Brutalist, al netto della pronuncia corretta dall’AI, le era superiore, ma sono contento per Zoe, che prima di ricevere l’Oscar era venuta in questa città una volta a vocazione industriale a ritirare il premio Stella della Mole. Ecco, diciamo che ha migliorato sensibilmente il suo palmarés, ma è un Oscar onesto: Zoe è stata brava a passare da una recitazione intensa ai numeri di danza e di canto in Emilia Pérez. Felicity e Monica Barbaro, più bella della Joan Baez che interpreta in A Complete Unknown (quanto è deliziosa nel film quando fa il dito medio a Timothée Chalamet?), se ne faranno una ragione. Non ha vinto Isabella Rossellini, su cui erano riposte tutte le speranze italiane: in Conclave dice solo due battute, per quale cazzo di motivo avrebbe dovuto vincere? Tornando a Zoe, nei ringraziamenti sul palco ha evocato la mamma immigrata, la nonna portoricana, il marito dai bei capelli. I trumpiani l’avranno guardata sdegnati sibilando: terrona maledetta.

Miglior documentario – No Other Land

Fantastico, נהדר, رائع! Appena ho scritto nel finale del post del 30 gennaio che non avrebbe mai potuto vincere è diventato di diritto il favorito. E infatti ha vinto. Se spargete la voce, mi faccio una posizione tipo quella del Chiàrchiaro de La patente di Pirandello: le produzioni dei film mi dovrebbero pagare per dire che non vinceranno mai un premio, che non incasseranno nulla al botteghino o che quel regista su cui hanno puntato è un bluff. Sicuramente guadagnerei di più che facendo quello che faccio adesso. Sono contento: è un grande grande film, come vi avevo detto. E il discorso improntato al pacifismo fatto dagli autori del collettivo, Basel Adra e Hamdan Ballal, è stato probabilmente il momento più intimamente politico dell’intera fiacca serata. Tanto più visto che No Other Land non ha trovato una distribuzione negli Stati Uniti, filoisraeliani da sempre.

Ore 3:39 omaggio di Morgan Freeman a Gene Hackman

Shhhhh. Niente da dire. E che vuoi dire? Il braccio violento della legge, Lo spavantapasseri, La conversazione (che dal 10 marzo torna al cinema per 7 giorni), L’eremita cieco di Frankenstein Junior, Bersaglio di notte, Mississippi Burning, Gli spietati. Applausi.

Miglior fotografia – Lol Crawley per The Brutalist

O lui o Jarin Blaschke per Nosferatu di Eggers. Ha vinto lui, W Crawley, che aveva prosciugato la luce rendendo tutti i cromatismi opachi, freddi e cementizi, brutalisti anch’essi. Un colore capace di avvolgere e di riflettere, di introdursi nei personaggi per sfibrarli, di offrire una sponda a Corbet e a Brody, nel caso in cui, dopo, qualcuno dei due dovesse vincere.

Miglior film straniero – Io sono ancora qui

Tifavo per lui con tutte le mie forze. Adoravo l’idea che un film comunista, su un comunista sparito durante la dittatura militare durata dal 1964 al 1985 e sul coraggio della moglie Eunice che non si è data pace fino a quando lo Stato brasiliano non lo ha dichiarato ufficialmente morto, potesse vincere nel regno di Hollywood. Una piccola allegorica rivoluzione nella patria del capitalismo, benché nella sua versione più progressista. Ma Io sono ancora qui è soprattutto un grande film, intenso, girato da Walter Salles con un’accuratezza fuori dal comune, pieno di dettagli e particolari che si capiscono solo a una visione ripetuta, recitato da Fernanda Torres in modo magistrale (magari vincesse la migliore attrice!), Fernanda che è la figlia di Fernanda Montenegro, candidata all’Oscar per Central do Brasil nel ’99 e versione anziana della figlia nel finale dello stesso Io sono ancora qui. Un cortocircuito stupendo e commovente. Batte altri bei film, come The Girl with a Needle, Emilia Pérez e Il seme del fico sacro, ma il film di Salles era superiore. Se volete sapere perché, leggete pure qua.

Miglior attore – Adrien Brody per The Brutalist

Quelle di Ralph Fiennes in Conclave e Timothée Chalamet come Dylan, e anche la prova di Sebastian Stan in The Apprentice nei panni del giovane The Don, erano ottime interpretazioni, ma ha vinto Adrien Brody, perché è andato oltre. Va sempre oltre quando fa l’ebreo allampanato, emaciato e con lo sguardo perso nel vuoto. E vince l’Oscar. Per la seconda volta dopo Il pianista. È una vittoria annunciata, non poteva essere diversamente, anche se Chalamet negli ultimi giorni aveva provato a risalire la china anche in modo poco elegante. Chissenefotte della correzione con l’AI, Brody è strepitoso e la sua interpretazione supplisce alla mancanza di sfrontatezza ambiziosa di Corbet. Brody è masterclass di recitazione, è il profilo basso che si trasforma in parabola scintillante, è il fulcro architettonico di ogni inquadratura del film. Meritatissimo.

Miglior regia – Sean Baker per Anora

Come ho detto prima, Baker mi è sempre piaciuto fin dai tempi di Tangerine, quando girava film con l’iPhone. Ora non potrà più farlo. Ecco, mi fa piacere per lui, che è sempre stato un regista fresco, capace di narrare vicende marginali con sorprendente fluidità e invidiabile dono di sintesi drammatica, ma mi chiedo se questo trionfo ripetuto e indimenticabile non sia la fine della sua innocenza e l’inizio di un qualcosa di diverso, meno sperimentale e più mainstream. Difficile trovare il compromesso se l’industria ti fagocita. Ora sì che sono curioso di vedere come farà a resistere. Magari si abbandonerà e si lascerà trasportare. E se si dovesse far traviare, ma che cazzo, avrà fatto anche bene, no? Basta indignarsi se uno abbandona i suoi principi indie per l’industria: è finito il tempo dei duri e puri e anche prima, quando succedeva, ti veniva il dubbio che facessero una cazzata. Detto per inciso, la migliore regista, in un mondo non hollywoodiano, che ha premiato il film indipendente contro le piattaforme di streaming, sarebbe stata Coralie Fargeat per The Substance. Ma il mondo va così. E ce lo teniamo. Anche se alle donne la miglior regia non gliela danno praticamente mai.

Miglior attrice – Mikey Madison per Anora

Ecco, qua non ci siamo proprio. La migliore attrice è (sarebbe stata) Fernanda Torres, come detto. Oppure, in seconda battuta, Demi Moore, snobbata da sempre. Oppure, se non si fosse giustiziata con tweet razzisti e stupidi, Karla Sofía Gascón (che senza l’autogol probabilmente avrebbe vinto). Invece ha vinto Mikey Madison. Con la sua recitazione acerba, nervosa, fin troppo naturale e forse non per esigenze di realismo. Una recitazione buona per TikTok. Tant’è. Sull’ondata emozionale di premi a cascata ad Anora anche la miglior attrice è arrivata quasi per abbrivio. Ma sia chiaro che recitare è una cosa seria e, soprattutto, è un’altra cosa. Ecco, guardate Fernanda o Demi nei loro rispettivi film. Loro sanno come si fa.

Miglior film – Anora

No. Tra i miei candidati ce n’erano almeno sette migliori, vuoi per intensità, vuoi per impianto, vuoi per finezza di scrittura, vuoi per recitazione, vuoi anche per regia. Però ha vinto Anora, che di Oscar ne ha vinti ben cinque. Tra quelli che hanno vinto il miglior film, ne ha vinti 5 come Accadde una notte di Frank Capra, Qualcuno volò sul nido del cuculo di Forman e Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme. Film passati alla storia del cinema. Ad Anora non succederà, al di là del fatto che accade sempre il contrario di quello che preconizzo. Certo, dopo gli anni dei sordi e dei cinesi, Anora fa la sua porca figura, ma di Anora fra tre anni nessuno si ricorderà più. Mi aspetto ora che diventi il film che trasformerà totalmente la percezione del cinema, ma no, non succederà. Lo ripeto.

Buonanotte. Anzi, buongiorno. Ora vado.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

2 Risposte a “La notte degli Oscar vista in diretta”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.