Il dilemma della Fase 2: divano o poltroncina?

Il dilemma della Fase 2: divano o poltroncina?
L’invisible cinema dell’Anthology Film Archives di New York come prototipo del cinema del futuro

Tra tutte le grosse minchiate che purtroppo, anche non volendo, uno si sente ammannire giorno per giorno, quasi tutte in contraddizione tra loro (ecco un breve elenco: il virus ha perso forza, ma non c’è nessuna evidenza scientifica che il virus abbia perso forza; plasma sì, plasma no; a settembre riapriranno le scuole ma solo per metà classe, gli altri vedranno insegnanti e compagni dall’oblò della videolezione; gli ingressi a scuola saranno scaglionati di un quarto d’ora ma magari metà classe entrerà al mattino e metà al pomeriggio; i vigili urbani sono stati travolti dalla piena umana sui Navigli; il campionato di calcio riprende domani, no dopodomani, no a giugno, magari ad agosto, ma forse non riprende; è in arrivo la app “Immuni”, però arriva a fine mese ecc. ecc. ecc.), ce n’è una che in questa emergenza si è perfettamente mimetizzata tra le altre, e già questo dovrebbe farci capire quanto la sua flebile risonanza possa essere fondamentale in questo periodo, se non per quei pochi (pochissimi) che puntano a parlarne per smuovere un po’ le acque.

Ora, tra voi che leggete e che probabilmente apprezzate (amate mi sembra eccessivo) il cinema, quanti di voi hanno fretta di tornare in una sala cinematografica, al chiuso, al buio, distanziati almeno un metro (leggasi due poltroncine), gustandovi un film ma trasalendo nel caso sentiste un semplice sternuto, fatto magari perché ‘sto dannato polline è entrato nelle narici di qualcuno e lì ha alloggiato solleticando fino all’ovvia deflagrazione? La cultura è cultura, si sa, anche se qualcuno dieci anni fa, in piena temperie berlusconiana, diceva che con la cultuva non si mangia; i lavoratori dello spettacolo devono lavorare, altrettanto certo e legittimo, e gli esercenti vogliono aprire. Ma, appunto, in quale scenario?

Quando vado, meglio, quando andavo al cinema, se la sala non era piena, facevo di tutto per stare lontano da tutti ed evitare lo schiamazzo degli spettatori da blockbuster, il commento della madamina la cui voce narrante illustrava ogni singola inquadratura all’amica affetta da presbiopia senile, il sapido rilievo del cinefilo radical chic che alla tue spalle stroncava ciò che stavi vedendo come l’«ennesima americanata». Non mi mancano per niente. Sia sempre benedetto il Lockdown, piuttosto. Ancora oggi tremo al pensiero dell’esperienza vissuta a una Mostra di Venezia di oltre vent’anni fa, quando il mio (casuale) vicino di posto, probabile reduce da un gustoso fegato alla veneziana, trascorse due ore intere a digerirlo, emanando effluvi che mi fecero finalmente comprendere cosa fosse davvero l’Odorama.  

Spettatori in sala si difendono dall’afrore del vicino

Sì, ok, siamo d’accordo, la magia del grande schermo. Anzi, la malìa. Ma se l’incanto e la fascinazione fossero per un attimo (uno, uno solo!) distratti (e non dico distrutti) dalla presenza dell’adesivo con il divieto di sedersi nei due posti a fianco, dal suddetto sternuto oppure dal respiro continuamente intasato dalla mascherina, fedele compagna durante tutte le due ore di proiezione, siamo sicuri che la seduzione del grande schermo resti inalterata? Se io dovessi possedere un divano comodo e un buon televisore, se disponessi di Sky, Netflix, Amazon prime, di qualche miglialio di dvd e di molta fantasia, e vivessi con un solo spettatore da blockbuster che nonostante schiamazzi spesso è pur sempre da solo, senza vecchie rompicoglioni che ripetono tutto ciò che lo schermo mostra ed evitando di aprire la porta agli amanti del cinema iraniano pronti a osservare con il sopracciglio alto e il labbro schifato ogni sparatoria, io, non io io, ma io in genere, perché dovrei decidere di smuovermi da casa per andare in una sala di prima visione? Tanto più che non dovrei neanche mettere una mascherina, non dovrei annaspare con lo sguardo nel buio a ogni rumore catarroso o osservare costantemente dove sono gli altri-che-non-sono-io.

E poi, piccolo interrogativo a margine, pur nello strepito della categoria che vuole aprire perché deve aprire per non rischiare il tracollo: esiste attualmente un mercato, visto che le più importanti uscite sono state procrastinate a tempi di normalità (con tutto quello che potrebbe non voler più significare) e che Trolls – World Tour, una vaccata, sia detto per inciso, ha incassato uno sproposito pur essendo distribuito esclusivamente sulle più importanti piattaforme on demand? A chi converrebbe distribuire un film in sala se almeno la metà del pubblico non prevede di tornare al cinema finché esisterà anche soltanto una remota eventualità di contagio?

Come se non bastassero questi dubbi, ci si mette anche chi dovrebbe garantirci salvezza e serenità. Ed è una chicca, uno squarcio nel buio che potrebbe convincere anche i più oltranzisti: secondo il Comitato tecnico scientifico della Protezione civile, riunitosi il 4, 5 e 6 maggio, così come riportato da Repubblica, «Il pubblico dovrà evitare di accedere nella sala in presenza di sintomi respiratori e/o temperatura corporea superiore a 37,5°». Io naturalmente non vorrei trascendere, ma se per due mesi ci hanno scassato in tutti i modi il cazzo con gli asintomatici, intesi come categoria di untori invisibili e inconsapevoli, perché tornare al cinema temendo anche la propria ombra, oltre a quelle sullo schermo?

Piccole pulizie prima della riapertura delle sale

Non è che il cinema abbia perso la centralità, tutt’altro, è solo cambiata, giocoforza, la sua fruizione. Probabilmente, un giorno la situazione tornerà a essere come un tempo: ci arriveranno i popcorn addosso, le ciamporgne esalteranno nuovamente il loro ruolo extradiegetico e lo snobino continuerà a prenderci da dietro rimpiangendo Kiarostami. Ma ora no, non se ne parla e senza rimpianti.

Anche perché alcune delle alternative ascoltate in questi giorni non sarebbero venute in mente neanche a Orwell o al Wells di Things to Come. Forse solo a Joe Lansdale. Il drive in. Non quello di Gianfranco D’Angelo e Has Fidanken, proprio quello anni Cinquanta. Quello in cui nessuno, ma nessuno!, forse solo qualche nucleo familiare al completo di figli e cane, sarebbe stato in grado di raccontare il film appena concluso, perché di solito impegnato a togliersi gli sbafi di rossetto o a riagganciare affannosamente il reggiseno. Se, come dice il «Wall Street Journal», il drive in è la risposta perfetta alla pandemia, è sicuramente un tentativo d’incentivare il ripopolamento usando il cinema come afrodisiaco.

Altra ipotesi, all’apparenza lievemente più seria. Qualche giorno fa, l’assessore alla cultura di una città del nord Italia dalla vocazione industriale ormai dislocata tra l’Olanda, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ha chiesto agli esercenti di iniziare a progettare ipotesi per le arene estive. All’aperto. Finalmente. Nel salotto buono di questa stessa città da otto anni si tiene un’arena estiva di buon successo a cui il pubblico è piuttosto affezionato. La capienza degli anni scorsi sfiorava i 500 posti e garantiva il sostentamento della rassegna, nella speranza che il numero di spettatori ogni sera si avvicinasse quanto più possibile alla capienza massima. Ora, se i posti dovuti alla capienza post-pandemica dovessero scendere come previsto di due terzi, come si farebbe a garantire l’autosufficienza della manifestazione con soli 150 spettatori per il tutto esaurito?

L’arena estiva di una città del nord Italia con una vocazione industriale ormai smarrita

Non resta che sperare che ci salvi Christopher Nolan. Convinto che il cinema sia una parte fondamentale della vita socialeMovie theaters are a vital part of American social life» è il titolo dell’articolo che ha scritto per il «Washington Post», il giornale di Dustin Hoffman e Robert Redford in Tutti gli uomini del presidente, per capirci), si è sforzato insieme alla Warner Bros. di non rinviare l’uscita del suo ultimo lavoro Tenet, che si suppone avrà lo stesso strepitoso successo di Inception (o di Interstellar o di Dunkirk: difficile che Nolan ne sbagli uno). La sua intenzione è inaugurare la riapertura delle sale delle grandi città americane (la data prevista, che molti reputano ottimistica, è il 17 luglio) e concedere il giusto viatico per l’alba di una nuova era con uno strabiliante e preannunciato record d’incassi. Tanti auguri a Nolan e a tutte le sale, americane e non.

Da noi il film è atteso per il 18 settembre. A prescindere dalla comodità del proprio divano o dalla grandezza del televisore, Nolan è uno dei pochi casi da vedere necessariamente al cinema. Speriamo di farcela, per quel periodo. Sperando che la app “Immuni”, quando arriverà, non ci segnali un positivo alle nostre spalle. Ma se parla di bambini e palloncini è solo il cinefilo filoiraniano.

John David Washington, Il protagonista di Tenet, alla prima del film

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

2 Risposte a “Il dilemma della Fase 2: divano o poltroncina?”

  1. Lo starnuto come jump scare…
    il che suggerisce, insieme alla prima immagine che hai inserito, uno scenario alla percepto di william castle… 😀
    ciao
    Vincenzo

  2. Ci mancano solo le scosse elettriche per stare davvero tranquilli…
    ciao Vince’, grazie del commento!

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