Discorso semiserio su uno dei tanti buchi della Casa di carta ovvero sull’uso a sproposito della citazione

Discorso semiserio su uno dei tanti buchi della Casa di carta ovvero sull’uso a sproposito della citazione

Tra tutti gli enormi difetti che ho, ne ho anche uno piuttosto autolesionista: se un libro o un film mi indignano o mi annoiano, arrivo comunque fino alla fine della lettura e della proiezione, quasi fosse una missione. Inutile interrogarsi sul perché lo faccia, non è questo l’ambito per una lettura psicoanalitica o semplicemente caritatevole dell’atto. Lo faccio sempre, a costo di trascinarmi. L’ho fatto anche per A volte ritorno del tanto decantato John Niven, ossia per uno dei romanzi più stupidi che abbia letto negli ultimi vent’anni (il mondo è una merda e quindi Gesù Cristo è costretto da Dio, suo malgrado, a tornare sulla Terra, il tutto in versione alternativa, con Dio che ogni tre parole dice un cazzo, merda, figa, vaffanculo, popò come i bambini che vogliono saggiare la tua pazienza. Inqualificabile, ma l’ho letto fino in fondo lo stesso). Ragion per cui l’ho fatto anche per La casa di carta, malgrado sia ormai diventato un passatempo per iloti da almeno tre stagioni.

Il cactus sulla bara di John Wayne: quante lacrime

Mi armo di pazienza che so bene non sarà ripagata e mi appropinquo a vedere il primo episodio della seconda parte della quinta stagione (sarebbe il sesto episodio, di fatto). La commissaria Alicia Sierra, pistola in una mano e bambina appena partorita nell’altra, manco fosse la versione gazpacho di Chow Yun Fat in Hard Boiled di John Woo, attende l’arrivo dell’ormai arcinoto Professore, che nessuno nel mondo della scuola vorrebbe avere davvero come collega. Momenti di inevitabile stallo. Lei dice, perché in quei momenti devi sempre dire qualcosa che resti nella memoria, «ma guardaci, sembra il fotogramma di un film: due che si tengono sottotiro sotto la pioggia. Come in Liberty Valance». Liberty Valance! L’uomo che uccise Liberty Valance! Esulto in silenzio! Non la bella canzone di Gene Pitney (firmata da quell’accoppiata mostruosa che furono Burt Bacharach e Hal David), proprio il capolavoro di John Ford! Quello stesso film che mi rifiuto di rivedere perché se passa su Rete4 al pomeriggio riesco ancora adesso a piangere guardando il cactus sulla bara di John Wayne! (e anche in questo istante, solo pensandoci, una lacrimuccia mi riga la guancia. Se poi penso alla battuta «The Desert is still the same» allora addio, profluvio!). Uno dei miei cinque western preferiti di sempre e sì, lo so che del western non frega più un cazzo a nessuno tranne che al mio amico e valente critico Mario Molinari, però come si fa a rimanere indifferenti davanti alla poesia crepuscolare di questo film, o a Clint Eastwood che sparisce mangiato dalla notte ne Gli spietati sancendo la fine definitiva di quel poco che rimaneva del genere, al dente che brilla di Eli Wallach dopo essere stato schiaffeggiato dal fratello frate ne Il buono, il brutto, il cattivo, alla Golondrina cantata da un intero villaggio messicano come addio alla banda di William Holden ed Ernest Borgnine ne Il mucchio selvaggio o al probo Henry Fonda che alla fine di Uomini e cobra di Mankiewicz realizza di aver perso tempo nell’essere stato sempre retto ed equilibrato e se ne va in Messico con il bottino appena recuperato? Dio, che lacrime. Passerei le giornate a piangere guardando western. Ma io sono un nostalgico, si sa. Mentre sono perso nei miei pensieri e mi sento fiero che anche quei quattro coglioni de La casa di carta tributino il giusto omaggio al padre del western mondiale (ed è un po’ come se fosse mio padre, come disse Fantozzi all’esame di Riccardelli parlando di Griffith), mi fermo di scatto. Resto in apnea per qualche secondo. Ma…ma che cazzo! Ne L’uomo che uccise Liberty Valance non c’è nessun duello sotto la pioggia! (qua sotto la rapida sequenza della mia presa di coscienza vista da un illustratore notissimo in ambito domestico, tra l’altro testimone dell’accaduto, che mi è costata anche due euro dopo un intenso mercanteggiamento).

© Ale F. 2021

Anzi, la pioggia non c’è proprio, e non deve esserci, visto che tutto il film ruota sul contrasto tra il deserto (il passato, la selvaticità, il disordine, John Wayne) e il giardino (il futuro, il progresso, la legge, James Stewart). E allora, dove cazzo l’hanno vista questi la pioggia? Sarebbe come parlare del suicidio per impiccagione di Vito Corleone ne Il padrino o del matrimonio fra Clark Gable e Vivian Leigh nel finale di Via col vento: atti mai avvenuti in narrazioni alternative e del tutto ipotetiche. Che Alicia Sierra abbia arrischiato un esempio di détournement situazionista? Ossia una citazione volutamente sbagliata per ottenere uno scarto di significato rispetto alla corretta comprensione? Bene, fantastico. Possibile, anche, visto che il senso soggiacente dell’intera serie è il sommovimento anarchico contro le istituzioni, la lotta contro il potere di più individui non-inquadrati, eccentrici, fuori dagli schemi e dalle regole, con tanto di apoteosi celebrativa nella scena di culto di Bella ciao cantata in italiano. Però, in questo caso, a chi è rivolto il giochetto? Chi sono i bourgeois da épater, visto che il target della serie è formato da persone che non hanno neanche compreso il nome pronunciato, perché probabilmente non sanno si tratti di un film, figuriamoci tutto il resto. Quasi come andare al banco della verdura al mercato e chiedere un gambo di broccoli in latino e poi stupirsi del vaffanculo che ne segue. Siccome sono uno che dà fiducia, scartata l’ipotesi situazionista, scartata dopo attenta riflessione anche la semplificazione per creare lo slogan da trasmettere ai posteri (del tipo «Il fine giustifica i mezzi» mai scritta nel Principe di Machiavelli o l’«eppur si muove» fatto da dire da Galileo per giustificarne la statura postuma), ho anche pensato si potesse trattare di una citazione fittizia, come quelle usate da Borges in Finzioni, quando ad esempio s’inventa la voce dell’Encyclopedia Britannica sul paese di Uqbar oppure, per pisciare meno lungo, come quella di Tarantino in C’era una volta…a Hollywood, quando fa raccontare a DiCaprio vestito sul set come Wild Bill Hickcok la storia di Easy Breeze, il Bronco Buster che si avvia mestamente al tramonto, protagonista di un romanzo che non è mai stato scritto ma che potrebbe essere una storia raccontata da Budd Boetticher o da Sam Peckinpah. Forme di intertestualità che spostano l’asse verso il gioco erudito (sì, lo è anche Tarantino: avete mai sentito parlare di Dwight Macdonald e del midcult? Non vi dibattete, non ci si può far niente, è un segno dei tempi), mentre occhieggiano al lettore o allo spettatore portandoli in giro su territori che non conoscono, e che non possono conoscere perché non esistono, ma dai quali si fanno inevitabilmente cullare. Come nell’esempio precedente, tuttavia, il gioco erudito ha senso solo se lo spettatore è colto almeno dal beneficio del dubbio, altrimenti è atto gratuito e quindi totalmente inutile, a meno che il target di riferimento de La casa di carta non sia io e i quattro scoppiati come me che ancora pensano al western. Ma anche il mio egocentrismo a volte si accorge dei limiti oggettivi e declina questa eventualità, seppur ringraziando sentitamente. Un’ultima possibilità potrebbe essere, ancora una volta sulla scorta degli studi di Genette (come l’intertestualità di cui prima), e proprio sforzandosi di non lasciare nulla d’intentato, un’ipotesi di ipertestualità (concetto che mi sarà molto caro la prossima estate), in virtù del quale la narrazione (l’ipertesto, appunto) utilizza una narrazione precedente (detta ipotesto) per renderla funzionale sfruttandone le caratteristiche. Per capirci: Joyce che rilegge Omero nel suo Ulisse o Mel Brooks che ricalca le stesse sequenze degli horror Universal anni Trenta per capovolgerle ironicamente in Frankenstein jr. Però qua, a parte una pistola contro l’altra, come vedete sopra nella foto di apertura, cosa che tra l’altro non avviene nel film di Ford, perché James Stewart non è un pistolero, sa di non saper sparare, per cui alza la sua arma timidamente ma solo come impulso di autodifesa, e la pioggia non c’è mai stata, come ormai sappiamo, in che modo Álex Pina adopera Liberty Valance come ipotesto, predisponendo un pubblico partecipe a cogliere il suo riferimento per condurlo alla susseguente lettura (o al suo capovolgimento), tenuto conto che se il riferimento è sbagliato a quel punto vale narrativamente tutto, anche l’intervento dei dinosauri di Jurassic Park come deus ex machina per togliere il Professore dall’impiccio? Concedo ancora una flebile speranza: la tensione della scena aumenta in qualche modo ricorrendo al nume Liberty Valance? C’è qualcuno che interviene da un interstizio del magazzino diroccato in cui i due si trovano per sferrare non visto il colpo decisivo contro il cattivone di turno come fece John Wayne contro Lee Marvin? No. E allora, bah…mi arrendo.

Non piove, ma dal vicolo grandinano proiettili

Io che ormai raggiunta una certa età sublimo gli istinti masturbatori adolescenziali in riflessioni metanarrative ci ho provato a dare fiducia alla Casa di carta e a credere che facessero le cose con un certo criterio, ma la soluzione proprio non la trovo. Non mi rimane che pensare all’ipotesi più semplice, come insegnava il buon Guglielmo di Occam, cioè che anche questo non sia altro che l’ennesimo buco di una serie che, come le vecchie signore parate come un pappagallo di Pirandello, non vuole arrendersi a riconoscere gli indizi evidenti del suo incipiente tramonto. Tutto bene, ognuno è libero di fare quel che gli pare, se non avessi quel maledetto vizio di vedere le cose sempre fino in fondo.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

Una risposta a “Discorso semiserio su uno dei tanti buchi della Casa di carta ovvero sull’uso a sproposito della citazione”

  1. Bellissimo, da schiantà dal ride, ma anche utile come riflessione.su parecchie cose di questo strano, inimmaginale da chi aveva vent’anni nel 1968 (i film, i libri, le serie tv, le citazioni, che vanno controllate sempre, ed erano e sono state e sono, nel nuvo millennio, una specie di vizio di forma delle recensioni che ancora adesso, che di anni ne ho parecchi di più, continuo a scrivere è per chi?perché? BOHHH!!] su un rivista che non cito ma in Italia oggi non ha eguali. Sono di persona il “valente critico” che l’amico GP nomina cone l’unico a cui importi ancora del cinema, degli attori dei film delle panoramiche dei caratteristi ecc. del WESTERN. E non espongo il mio pensiero per pavoneggiarmi [di che? di fronte a chi?] né tantomeno su invito del GP summedesimo che non ha certo bisogno del mio supporto. Mi sono rispecchiato spesso nelle parole nei pensieri tra le righe degli scritti del succitato GP, che se ricordo bene conobbi sui gradini delle scale del cinema Massimo durante un remoto festival Sotto18, ancora senza Campus [“se mi sbaglio mi coriggerete” cito Santo Subito, nel discorso del 16 ottobre 1978] e con cui ho assistito side to side ad un un solo film, THE DISASTER ARTIST di James Franco [“se mi sb…”, idem come sopra] al TFF del 2017, al Classico. Se scrivo qui e ora è perchè da un po’ di tempo le mail spedite dal mio PC o dal cellu non gli arrivano mai.Viggiuro, solo per questo, ma anche per comunicargli pubblicamente il bravo! che si merita e per dirgli/dirvi che sono più ottimista circa il numero di quelli che ci tengono ancora al western e che magari piangono a rivederne/ripensarne qualcuno [io piansi quando vidi in sala (LUX? DORIA? BOHH!) Balla coi lupi, ma non nei momenti canonici in cui gli autori portano lospettarore ad uno stadio emotivo che necessita di lacrime sincere ma OBBLIGAT(ORI)E, no, bensì osservando in campo lunghissimo, dei cavalieri che sui loro cavalli cavalcano lontano, sulle cime delle colline con la luce del sole al loro side/fianco. Perché cry,man? non lo so: forse per una frase che mia mamma disse vedendo un Ford militare [potrebbe essere Il massacro di Fort Apache. certo era in b/n, sullo schermo di quei giganteschi televisori a valvole rigorosamente posti sul piano di vetro di un carrello mobile, su ruotine, per favorire ogni intervento riparativo, che doveva necessariamente sul side posteriore di quell’adorato elettrodomestico-mammuth che in casa mia, allora a Genova, a quattro passi dal Ferraris e dall’attiguo carcere di Marassi, entrò nel 1960 o nel ’61, prima che ci trasferissimo tutti e tre- mamma papa io- a To, nel gennaio 1962 . Io vi entrai per restarci il giorno prima dell’Epifania cadeva di sabato, e andai a scuola con la A credo,il bus a due piani rosso all’inglese che a GE non s’era mai visto- usavo il filobus 37, allora, che faceva capolinea a un centinaio di metri da casa mia, in piazza G??? non indovinate? GUICCIARDINI, in un bar della quale assistetti con papà a parecchie partite dei Mondiali del ’58, quelli vinti dal Brasile di GARRINCHA ZITO DIDI VAVA’ PELE’ ZAGALLO].
    Ho perso il filo.ah, sìì, alludevo ai 22 westernofili che, sommati a me e G(P)F continuano ad adorare i western o CAPPELLONI* che dir si voglia, arrivano a 24 , uno in meno dei celeberrimi 25 LETTORI, che, secondo lo stesso DON LISANSER, ovvero il Manzoni, cita nella intro ai Promespos quali attenti a quanto narrato nel secentesco manoscritto che finge [fake new???] di aver rinvenuto.E qui mar.mo. si tace, perché coglie che siete provati più di lui, che è pure un po’ costipato (al noose, non all’ass, maleducat#). Rimando i nanetti sulle mie uscite dalle sale ove veniva proiettato il film…….Il seguito qui, o su FB, ove c’è scritto parecchio del suddetto sapracitato. CONSUMMATUM EST.**

    *ho consultato vari diz in mio possesso: neppure il sommo Tullio Demauro, nel suo monumentale GRANDE DIZIONARIO ITALIANO DELL’USO (UTET,1999, VOL.I, p:921) riesce ad individuare il momento in cui questo accrescitivo di cappello diventa d’uso comune, e passa ad indicare il genere di film dei COW BOYS, i mandriani dai cappelli a larghe falde che indossavano sempre.
    ** dalla VULGATA, versione latina dei Vangeli, e più precisamente ancora dal Vangelo di Giovanni, XIX, 30.

    OKAY, SENTO QUALCUNO CHE MORMORA LAGGIU’, CHE LANCIA BESTEMMIE OLTRE A SACCHTTI DI PATATINE VUOTI, SPUTAZZI, ORTAGGI VARI, LUPINI che ne provano la matrice, UNITI AD ALTRI CHE PROCEDONO MINACCIOSI, O A MANI APERTE CHE DISEGNANO UNA SORTA DI SFERA [=ASS alias CULO? forse] O ANCORA MOSTRANO LA RABBIA COL MEDIO ALZATO DI ENTRAMBE LE MANI, URLANDO DA BESTIA bbBBBB A S T AAAAAaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    HO CAPITO. HASTA:

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