Come fermare il tempo con Top Gun

Come fermare il tempo con Top Gun

Premessa: questa è una lunga riflessione, molto divagante, un po’ nostalgica, ma solo un pochino, sul tempo che passa pur restando apparentemente immobile.

O sul tempo che non passa pur muovendosi?

Chi era che parlava dei corsi e ricorsi storici? Giambattista Vico, vero?, chiedo a voi che sapete tutto. E della teoria dell’eterno ritorno? Come dici? Nicc’? Sì, quasi, ma solo se arrivi abbondantemente da sotto Roma. Comunque, confusamente, è quello che ho pensato l’altro giorno quando ho visto l’anteprima di Top Gun: Maverick, perché sì, mica vedo solo roba raffinata, vedo anche delle puttanate, talvolta. Eh, capita. Che poi, collocato nel suo genere e nel suo target, non è neanche un brutto film: segue le caratteristiche che ti aspetti e lo fa con mestiere e professionalità. Che si desidera d’altro da un film progettato per essere un blockbuster?

No, la cosa che mi ha colpito è che rispetto al primo film, di cui questo, come saprete, è il sequel giunto 36 anni dopo, non è cambiato niente. Ma niente-di-niente! E non parlo solo del film, su cui tornerò fra pochissimo, ma anche di Tom Cruise, sempre uguale a se stesso, anche giunto ormai a 60 anni suonati. Certo, nei primi piani si vede che è tinto, ma cazzo, detto da un pelato di una decina d’anni più giovane che pare suo zio, suona davvero come il discorso della volpe con l’uva. Per cui, mi tacito con grande rispetto. Il tempo si è fermato in una bolla inattaccabile anche per Jennifer Connelly, di cui l’età non si dice, perché è una signora, e certo non è più la quattordicenne Deborah di quel capolavoro senza senso che fu C’era una volta in America (che è dell’84, se volete farvi i calcoli), non ha più le sopracciglia dense che quasi sventolavano mentre sfreccia sui pattini in Tutto può accadere, ma regge i primissimi piani ancora con una fierezza matura difficilmente eguagliabile, facendomi ribollire il sangue nelle vene almeno come quando mi si rivelò eroticamente in quell’anomalo e bellissimo noir prima sottovalutato e poi ingiustamente dimenticato che fu Hot Spot – Il posto caldo del mio ‘amico’ Dennis Hopper (come potete vedere sotto, alla fine – una sorpresa inedita just for you).

A sinistra Cruise nel primo Top Gun, a destra nel secondo: uguale, gli si sono solo rimpicciolite le spalle

Lo so, lo so, ci mancava solo la deriva lubrica a questo blog, però, come disse un mio compagno delle medie dopo essere stato selvaggiamente cazziato per aver toccato il culo di un’allieva arrivata in classe per chiedere una cosa alla nostra insegnante, «è più forte di me», da sempre non riesco a vedere Jennifer Connelly come attrice, solo come donna dei sogni, anche adesso che è molto, a volte troppo tirata. Spero apprezziate almeno la sincerità.

Jennifer Connelly: tra i suoi film Phenomena. Non a caso

Fortuna che ci sono anche Ed Harris, che non essendo mai stato giovane può pure restare identico al se stesso di un tempo senza causare strascichi nelle psicologie impressionabili, e Val Kilmer, che se oggi dovesse interpretare The Doors sarebbe perfetto per l’ultima parte del film, quando Jim Morrison si era ormai completamente slabbrato. Ma andiamo oltre questo vile esempio di body shaming e parliamo  di cose serie, per quanto possibile.

Il Top Gun sempre uguale a 36 anni fa non sta tanto nella storia narrata, che è differente, nel sottointreccio sentimentale, là molto intenso qua invero piuttosto lasco, né nella qualità della regia, là al servizio di una storia di cui Cruise era il protagonista, qua totalmente edificata sul divo che guarda caso produce anche, regia peraltro passata da Tony Scott, che nel frattempo ha lasciato questa valle di lacrime, bacilli e scorie nucleari, a Joseph Kosinski, uomo di fiducia dell’imbalsamato Cruise fin dai tempi di Oblivion. Qua il Maverick di Cruise sfrutta la sua leggenda anarchica (è ancora capitano nonostante tutte le mirabili imprese effettuate nella sua carriera), che va letta come credibilità fornita dall’essere, off fiction, il divo che gira ancora tutte le scene d’azione senza l’ausilio degli stunt man, e si fa insegnante di giovani virgulti, piloti tronfi come CR7 quando inspira prima di calciare un rigore, tra i quali c’è il figlio del suo ex collega e amico Goose, che ovviamente ce l’ha con lui per la morte del padre e perché convinto gli abbia bloccato la carriera, cestinando la sua domanda all’accademia. Questo l’intreccio preliminare. Il resto lo potete immaginare tranquillamente perché sarà rigorosamente come lo supponete.

Gli studenti, all’inizio, poi invece. Il figlio di Goose fino a metà, poi, in realtà, dopo succede che, eh, certo. E comunque alla fine, lui è pur sempre Tom Cruise, mica uno sfigato d’insegnante a 1600 euro al mese a contatto con gente che non gli tira certo le palline in testa ma si limita solo a diffidare di lui, e quindi, quando c’è da fare la missione, non gli addestramenti, ché a farli sono capaci tutti o quasi, i giovani saranno pure tronfi e capaci, però lui è il divo e anche il produttore e se no che cazzo lo costruiscono a fare il film su di lui? e quindi la missione è una cosa seria, mica roba per sbarbatelli. E intanto, tra un addestramento e l’altro, c’è anche la parentesi sentimentale, che fa molto chic, soprattutto se la guardi controluce sul mare al tramonto. Perché lei è Jennifer, non Anna Mazzamauro e non vuole farsi spezzare ancora il cuore, perché, sapete, ha un’età.

Sì, bravi, avete indovinato: questo è il film. Non si tratta di spoiler, è che non può essere diverso da questo. Rispetto a 36 anni fa, è un film forse migliore, ma dal minor fascino: là, ogni volta che vedevi la zazzera inappuntabile di Tom Cruise con il suo giubbotto di pelle con le toppe e Kelly McGillis abbarbicata alla sua schiena come uno zainetto, sentivi risuonare le note introduttive indimenticabili di Take My Breath Away dei Berlin, brano che vinse anche l’Oscar come miglior canzone (fantastici anni Ottanta, che non negavano a nessuno, ma a nessuno!, due mesi di celebrità assoluta – piccola riflessione: la canzone l’ha scritta Giorgio Moroder, che di Oscar nella sua carriera ne ha vinti tre: essendo Giorgio Moroder tifoso della Juve, i suoi Oscar si possono aggiungere alla già colma sala dei trofei dello Juventus Museum?).

Non dite che non vi ricordate la canzone dei Berlin perché, nel caso, non avreste un’anima. Qua invece la main song è di Lady Gaga e si intitola Hold My Hand: successo annunciato, visto che l’artista prescinde certo dal film ma sulla tenuta nell’arco dei prossimi 36 anni non sono così certo da giurarci. Ma voi ormai lo sapete bene che quando mi lancio in un pronostico contrario di solito garantisco vita eterna. Inoltre, a corredo del tutto, per l’edizione italiana c’è anche il video del testimonial nostrano Giorgio Chiellini, fresco del suo addio al calcio che conta e forse con un pensiero alla sua nuova carriera, che a questo punto non sarà in MLS, come invece si dice, ma pur sempre in America, anche se evidentemente in una pista di decollo. Come Cruise, anche Chiellini non ha bisogno dello stunt: quando sanguina (spesso), gli si mette una fascia in testa e torna come nuovo. Ma attenzione al suo tallone d’Achille: il polpaccio, detto, per meriti acquisiti, il Polpaccio di Giorgio, ugualmente epico.

Chiellini tutte le volte in cui gioca senza stunt man

Ovviamente, come al solito, sto divagando. Ad ogni modo, pur nella sua tremenda mediocrità, il primo Top Gun è entrato comunque nella storia del cinema perché considerato uno dei punti culminanti della propaganda hollywoodiana dell’epoca reaganiana, almeno quanto lo fu, nello stesso periodo, Rocky IV, come ricordavamo qualche post fa. Pellicole che raccontavano quanto fossero stronzi e glaciali i sovietici, che non sorridevano mai perché erano assurdi bestioni privati dal regime della linfa vitale, come Ivan Drago, oppure, ed è il caso del primo Top Gun, totalmente spersonalizzati e visti come sagome informi dotate di casco con visiera a specchio che rimbalzava gommosamente gli sguardi intimoriti degli spettatori. Quasi degli alieni, al cui confronto i piloti mattacchioni della Marina americana, pronti a bere, litigare, volare come dei coglionazzi sui jet da guerra e correre in moto sulla spiaggia tra le ali del vento, ci fossero stati anche sul culo (e ci stavano sul culo, pensandoci bene), sarebbero stati comunque preferibili agli automi amebatici proposti dalla parte avversa. Ecco in cosa non sono davvero passati i 36 anni da un film all’altro. Anche in quest’ultima versione di Top Gun, infatti, i nemici, per poco che si vedano, sono sempre i soliti piloti deprivati di ogni flusso esistenziale, pure macchine da guerra incastrate nella fusoliera del loro velivolo, pronti ad abbattere i bei ragazzoni americani, che sì, se la tirano come dannati e fanno cazzate, sbagliano, ma vivaddio!, amano e sono vitali. È vero che, a differenza del primo, qua nessuno fa il nome della Russia, perché si parla genericamente di “Stato canaglia”, ma per assonanza con il passato, clima e paesaggio innevato su cui i protagonisti compiono l’impresa, pessimo gusto grafico dello stemma che compare sugli aerei nemici, quasi si trattasse del Kazakistan di Borat, ci sono pochi dubbi su quale sia davvero questo Stato canaglia. Ecco: l’Unione Sovietica dell’86 poteva anche porsi come quella superficie opaca che respingeva ogni tentativo di guardare attraverso, viste le poche e selezionate immagini che giungevano in Occidente (eravamo al punto che quando morì Jurij Andropov, nell’84, la notizia ufficiale era che non partecipasse al direttivo del PCUS perché raffreddato, il che fornì il destro per una memorabile vignetta di Giorgio Forattini).

La celebre vignetta di Forattini comparsa sulla prima pagina de La Stampa

La Russia attuale, al netto della propaganda putiniana, è volente o nolente immersa in una rete di comunicazione globale in cui le immagini, per quanto negate, rifratte e offuscate, circolano inevitabilmente. Guardate solo le fotografie del sergente Vadim, il soldato russo che giocava a tirassegno con i civili ucraini in bicicletta (vi ho mai raccontato di quando mio zio passava in macchina accanto ai ciclisti, rallentava e invitava me e i miei cugini seduti dietro a spingerli nella cunetta? No? Ecco, meglio): una volta fotografato in una cella, osservato inerme, spogliato della sua sporca ideologia sovranista, cosa resta? Io lo so, ma non voglio imporvi il mio pensiero. È talmente evidente che arriverete anche voi alla mia stessa conclusione. Questo è ciò che mi chiedo: ha ancora senso, dopo 36 anni, rappresentare allo stesso modo il nemico? Pur appellandosi alle regole del franchise, non è stoltamente demodé? I nemici ora esistono, hanno un’anima, guardandoli da una prospettiva definita anche una feroce aggressività, una personale back story che non conosceremo mai ma che presumibilmente è fatta di propaganda ottusa, odio razziale e ignoranza privata della speranza.

Però evidentemente funziona. Le mie sono solo vuote paturnie estetiche: al termine del film, il pubblico, spontaneamente, è esploso in un fragoroso applauso. Non eravamo a un festival, dove l’applauso è quasi la regola, eravamo nella provincia della solita città del nord Italia ecc. ecc.  e gli spettatori hanno applaudito soddisfatti. Non credo abbiano applaudito il film, non esageriamo, forse l’impresa aerea, spettacolare, certo, ma condotta ai danni dello Stato canaglia piuttosto identificabile. Che quelle visiere a specchio siano lo specchio (pardon pour la répétition!) di una nuova paura che in realtà è la stessa da 36 anni? Nonostante sia caduto il Muro di Berlino, nonostante il comunismo (ahimè) sia imploso, malgrado l’Unione Sovietica non esista più (con buona pace di Pagliarulo, Vauro e Santoro) e la Guerra fredda un concetto da spiegare ai ragazzi perché avvertito estraneo come la caduta dell’Impero romano d’Occidente?

Stay Tuned, friends, ché ne vedremo delle belle.

Ah, certo, la sorpresa. Non me ne dimentico, malgrado l’età.

Dennis Hopper in cattiva compagnia, ovvero: se non sei Top Gun il tempo passa eccome

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema, ma solo quando gli va.

6 Risposte a “Come fermare il tempo con Top Gun”

  1. “vi ho mai raccontato di quando mio zio passava in macchina accanto ai ciclisti, rallentava e invitava me e i miei cugini seduti dietro di spingerli nella cunetta? No? Ecco, meglio”

    AHAHAHAHAHAHHAHAHAHHAHAHAH il mitico zio della pisciata?

    Ecco, questa uscita ha una “regia” migliore dei due Top Gun messi assieme, anche se il primo l’avrò visto da ventenne (e in ritardo), a stralci, mentre studiavo, mangiavo, parlavo con mia madre e sfogliavo le recensioni di Morandini sul Telesette (perché non osavo dedicargli del tempo continuativo come faccio col cinema, ma volevo giustificare il mio infierire contro chi lo adorava) e il secondo credo non lo vedrò mai.

    Mortale! ahahahahhahahha

  2. No, il fratello minore. Già citato, tra l’altro, a proposito de “Il collezionista di carte”.
    Entrambi fratelli di mio padre.
    Famiglia particolare. 😉

  3. al netto di tutto (compresa la ricerca del capello perduto!!!) mi tengo l’effetto Madeleine suscitato dalla parola “cunetta” : bicicletta, estati infinite, libertà e fottutissima felicità.

    1. Siete fantastici! Io mi spertico in lunghe ed estenuanti (per voi, immagino, giunti a questo punto) considerazioni pseudocritiche e voi mi ponete l’attenzione solo sull’aneddoto biografico, peraltro neanche citato completamente? 😁
      Urge profonda riflessione: che forse invece del critico dovrei fare lo stand-up comedian?
      Allora, se preferite, leggetevi l’ultimo post in omaggio di Ray Liotta: https://dissequenze.altervista.org/ray-liotta-ma-non-per-tutti/, che non ho inviato via e-mail per non abusare della vostra pazienza.

  4. stand-up critician e il gioco è fatto! 😉
    (già letto chetticredi tze!)

I commenti sono chiusi.