Con la testa ero già in vacanza. Ma se mi chiamano in causa, una piccola eccezione la devo pur fare. Per cui, scusatemi, scrivo ancora questa cosa e poi ritorno nel mio torpore.
In una delle rassegne estive a cielo aperto che si auspicavano qualche tempo fa, ieri sera, 6 agosto, è iniziata una minirassegna dedicata ad alcuni titoli classici che hanno come protagoniste le donne. Immagini di donna allo specchio è il suo titolo. Tutt’altro che casuale. Immagini. Specchio. Due volte richiamato il concetto di rappresentazione. E la rifrazione del soggetto, visto che non si tratta di psicoanalisi, né di un prodotto aritmetico, non si frantuma e non si annulla: si raddoppia. Orbene, capita che il Quotidiano della città del nord Italia con una vocazione industriale ormai smarrita che ospita la rassegna estiva in oggetto presenti nella prima pagina della cronaca cittadina, la mattina stessa dell’inizio della minirassegna, questo sfizioso elzeviretto.
Me lo inviano. Linko, apro. Lo leggo. Saluto cordialmente: «buongiorno a voi», rispondendo al nome della rubrica. Arrivo velocemente alla fine e inarco le sopracciglia e anche un po’ le labbra. Oddio, è pur vero che l’importante è che se ne parli, ma perché in questi termini? Davvero abbiamo offeso in qualche modo le donne perché le stiamo proponendo come «una collezione di dispiaceri»? Veramente, nella stolida epoca della Cancel Culture, Eva contro Eva rappresenta «lo stereotipo delle ragazze che si fanno le scarpe» e non il record di nomination all’Oscar e forse il più bel film sul teatro mai scritto? E Viale del tramonto ha smesso di essere un’amara riflessione metanarrativa sull’illusione della perpetuità per diventare «il ritratto di una signora insopportabile» come la Mazzamauro in Fantozzi? Perché poi spoilerare Un amore splendido (per «non dire all’uomo della sua vita che non può più camminare evita di rivederlo. Butta anni interi») e liquidare le due sorelle di Sussurri e grida perché non hanno empatia?
Eppure il titolo della minirassegna era chiaro. Le immagini, lo specchio. LO SPECCHIO, diamine! La donna come personaggio inserita in un contesto ben determinato e in una visione d’autore, per quanto possibile, visto che tre film su quattro sono stati prodotti a Hollywood. Mankiewicz, Wilder, Bergman, e magari non contiamo McCarey, perché sicuramente meno autore degli altri. Non proprio tre coglioni. E neanche tre fallocrati. Semplificando almeno quanto l’elzeviro, per rimanere in un rapporto alla pari ed evitare critiche a mezzo stampa: il primo a momenti faceva fallire la 20th Century Fox per assecondare le manie della diva Liz Taylor; il secondo ci ha consegnato ritratti talmente memorabili di fanciulle da diventare responsabile, dagli anni Sessanta, di una proliferazione di Sabrine e Arianne in inconsapevoli neonate; il terzo…vabbè, basterebbe guardare Persona per capire. Ma anche in quel film si parla di doppi, transfert, personaggi problematici. Un «disastro» anche in questo caso, con il metro del Quotidiano. Nemmeno a pensare che cosa sarebbe successo se avessimo proposto La città delle donne e L’uomo che amava le donne («Maiali! Mercificatori di corpi! Sessisti!»).
L’impressione, però, e perdonatemi la diffidenza che un po’ fa parte del carattere, è che l’elzeviro mattutino giunga 45 anni dopo rispetto alla Feminist film Theory e comunque, se gli si perdona il leggero ritardo (che volete che sia per un quotidiano? Con i dati del Covid in continuo aggiornamento, l’esplosione di Beirut, Salvini che toglie e mette la mascherina, il Ponte di Genova che pare tenere ecc. ecc. ecc., mica si può tenere conto di tutto), comunque sì, ha ragione l’elzeviro: il cinema classico, soprattutto quello hollywoodiano, ha spesso rappresentato la donna come personaggio bidimensionale, oggetto del desiderio, simbolo della famiglia, semplice emblema di una decorativa fascinazione.
Però provate a dire a Bette Davis (Eva contro Eva) che è un personaggio bidimensionale o che Gloria Swanson (Viale del tramonto) è un oggetto del desiderio (avrebbe pagato per esserlo. Anzi, paga proprio William Holden affinché lui la consideri un oggetto del desiderio!). E dopo quest’affermazione, dovremmo attenderci anche un intervento dell’Associazione italiana gigolò che lamenti lo svillaneggiamento degli uomini prezzolati e poi quello degli Sceneggiatori falliti che non vogliono morire riversi in una piscina e il panorama potrà dirsi pressoché completo.
«Ecco, come serate cinematografiche [sono] perfette», dice l’elzeviro, e io l’avrei chiusa qui, senza la chiosa finale («come omaggio alle donne un disastro. Intendevate dare un riconoscimento alle grandi attrici? La prendiamo per buona»). Forse, prima del «buongiorno» sarebbe stato opportuno assaporare un caffè. Perlomeno per prendere tempo. Perché la minirassegna dell’arena di una città del Nord Italia ecc. si occupa da nove anni di capolavori indiscutibili che hanno superato la prova del tempo sul piano artistico, non di una loro rilettura con il filtro del presente. Altrimenti si può discutere in maniera cavillosa su tutto, anche su Via col vento, tanto per citare uno dei casi più eclatanti di recente ripensamento (qua l’articolo del Los Angeles Times). Tra un film politicamente corretto ma loffio e un capolavoro della storia del cinema, io, che la minirassegna sulle Immagini di donna allo specchio l’ho organizzata, presentata e giustificata nella brochure, non ho il minimo dubbio su cosa scegliere. Perché avere in programma Eva contro Eva, Viale del tramonto, Un amore splendido e Sussurri e grida sarà sempre più stimolante che vedere, tanto per portare esempi virtuosi, Erin Brockovich (collezionista di matrimoni falliti), Mary Poppins (lavora senza tutele legali), Capitan Marvel (virago fredda e distaccata) o Silkwood (un passato di alcool e droga, seppur redento). Per capirlo, basta sfogliare una qualunque storia del cinema, anche a fascicoli.
Senza contare che, a loro modo, volendo essere pretestuosi, ma proprio volendo tanto esserlo, sono personaggi tristi anche questi.
Allora diciamo che mi stupisco ma non troppo e dell’elzeviretto in questione “salverei” solo il titolo. Eh sì perché se le argomentazioni per difendere le donne o perorarne una qualsiasi causa sono di questo tenore direi che è proprio “Sdedicato alle donne”.
Buone vacanze!
Viva il cinema di qualità!
Abbasso le riletture (ma già mi sembra una parola grossa mentre lo sto scrivendo) ad minchiam!
Non so perché, ma sapevo che un articolo del genere ti avrebbe indispettita. Infatti, a scanso di equivoci, dell’elzeviro si ironizza sulla pretestuosità fuori tempo, non sulla liceità del diritto (di critica, di rimostranza, di orgogliosa rivendicazione), ma proprio per questo, non deve somigliare a un lamento isterico, etimologicamente parlando, perché altrimenti manca clamorosamente il tiro: hai presente Lukaku con il Siviglia prima di fare l’autogol? Ecco. C’è poco da dire, con il Quotidiano della città del nord Italia l’Arena estiva non è molto fortunata: due anni fa, uno dei suoi collaboratori, ora passato alla cronaca torinese di un giornale milanese, cercò di far scoppiare un caso sulla mancanza di controlli all’ingresso, dicendo che lui era stato fatto passare senza pagare e che tra il pubblico c’era una presenza incontrollata di bottiglie di vetro, quando l’unica birra venduta quella sera era quella comprata da lui per poterla fotografare a corredo dell’articolo.
Potremmo aprire un nuovo capitolo sulla deontologia di alcuni giornalisti – e ne potrei parlare con cognizione, visto che sono stato iscritto all’albo per più di vent’anni. Ma non lo farò.