Anche basta. Ogni tot anni esce il film che, secondo gli annunci di certa stampa pronta a farsi cassa di risonanza delle produzioni, rilancerà il genere western e ogni ***** di volta (non voglio essere scurrile, ho ospiti) ci troviamo solo in presenza di un film in più. Più o meno apprezzabile, in genere meno, ma sempre ugualmente illuminante: ossia, basta con i western. E se ve lo dico io, che da piccolo volevo fare l’attore con cappello e pistola, salvo poi rendermi conto che non vivevo in America, che amavo i western ma i western non sapevano neanche della mia esistenza e che se anche non mi fossi reso conto delle prime due condizioni, il genere, proprio mentre io crescevo pieno di illusoria speranza, stava discendendo rapidamente la china che lo avrebbe reso un inane trastullo per nostalgici. Ehm…mi sono perso come al solito; dicevo: se ve lo dico io, vi potete fidare.
Chi ha leggiucchiato ciò che ho scribacchiato nel passato sa che sono vent’anni che dico sempre le stesse cose, ormai sembro mia madre con i suoi sfibranti refrain morali. Per cui basta anche in questo caso, vi rimando a un vecchio post riassuntivo del blog, se proprio foste così autolesionisti da cliccare questo link (siate furbi come chiunque legga un quotidiano online in questi anni: fermatevi al titolo e avrete il panorama pressoché completo).
Capita però che Kevin Costner, che comunque è pur sempre colui che ha girato Balla coi lupi e che pensavo avesse compreso una delle pochissime possibilità di sopravvivenza del western, cioé ibridarsi con i thriller che raccontano la latifondista conservazione del territorio mascherata da difesa green del suo valore primigenio (leggi: Yellowstone, ma senza sottovalutare Outer Range, anche se lui non c’entra), ne realizzi uno. Uno gigante, ma talmente gigante che non può passare inosservato, perché dura tre ore e un minuto ed è solo la prima parte di una saga storica che potrebbe giungere, se tutto va bene, ai 4 episodi. Lo puoi ignorare? Certo che no. Tanto più che la famosa cassa di risonanza di cui sopra non te lo permette e tu puoi mica far finta di niente: metti caso che poi sia veramente il film che rilancia il genere e tu lo hai perso per irrazionale supponenza? Con che credibilità potresti ancora scrivere che il western è morto se ti è risorto nell’unica volta che non lo hai auscultato? Quindi uno va al cinema e se ne accerta.
Magari fa anche un esperimento antropologico e porta con sé il figlio per verificare come reagisce un ragazzino di quarant’anni dopo e se in qualche modo, al termine della proiezione, accelererà l’operazione di uccisione simbolica (auspicabile rispetto a quella effettiva) del padre. E, sorpresa, al ragazzino di quarant’anni dopo il film piace. E anche tanto, al punto da assicurarsi di tornare quando uscirà la seconda parte, annunciata inizialmente per il 16 agosto. Mi fa molto piacere, ma la sostanza non cambia: il western è come l’offerta alla Croce Rossa, abbiamo già dato. Prova ne sia che a distanza di qualche giorno e dopo l’uscita negli Stati Uniti, Horizon, pur nutrendo l’ambizione di essere un evento, è stato un flop. Totale. Al punto che l’uscita del secondo episodio è stata posticipata. Ufficialmente per far assimilare meglio il primo, in realtà perché rischia di passare nuovamente del tutto inosservato. Costner sta lottando per conservare il suo ranch, come il John Dutton che interpreta in Yellowstone, perché ha perso 40 milioni di dollari suoi, mentre Netflix cerca di acquistare il pacchetto per trasformarlo almeno in una serie.
Eppure c’è del vero nell’entusiasmo di mio figlio: il film si vede volentieri e le tre ore (e un minuto) scorrono che è una bellezza. Costner è un vecchio paraculo che conosce bene il suo mestiere e sa fare anche discretamente il regista. Oltretutto sa perfettamente cos’è un western, malgrado si illuda di poterne plasmare in qualche modo un futuro impossibile. Molto probabilmente nel tentativo di raggiungere la complessità della serialità televisiva, intreccia tre vicende (una donna rimasta vedova dopo un violento attacco indiano, un anziano ma ben tenuto cowboy in fuga da una famiglia di marci delinquenti dopo aver ucciso uno di essi particolarmente molesto, una carovana di pionieri in viaggio lungo il Santa Fe trail), le avvicenda sistematicamente con l’ambizione dell’affresco (e il pensiero corre alla monumentalità de La conquista del West ma senza la baracconata del Cinerama) e le sviluppa con un costante senso di innocenza perduta davvero fuori dal tempo.
In pratica, quasi un deliberato autogol. Il senso di nostalgia si legittima solo verso chi ha perduto un paradiso, non serve a fare proseliti nei confronti delle nuove leve che quel paradiso lo ignorano. Anche se nelle intenzioni vorrebbe essere un evento alternativo alla consueta congerie di supereroi di varia provenienza. In realtà, si tratta di un film per chi ama il genere, ergo: un film per vecchi, e questo senza metterne assolutamente in discussione la buona fattura. Entrati in sala, in una sala bella grande appartenente al Museo del cinema della solita città a vocazione industriale ormai smarrita, per di più vuota per i due terzi, la prima cosa notata da mio figlio era che l’età media dei presenti fosse di circa 75 anni. Io ero il secondo più giovane tra tutti e come diceva Peppino De Filippo nella Malafemmina, «ho detto tutto». Horizon è un prodotto per un circolo esclusivo e sempre più ristretto, altro che evento, per questo non può che trattarsi di un flop annunciato.
Per chi ama il western è un film gradevole, dicevamo, non un grande film. Per essere grande avrebbe dovuto avvalersi di una sceneggiatura inappuntabile, cosa che invece non è: ci sono momenti in cui accadono cose non adeguatamente preparate, al punto che in quel reparto geriatrico in cui ho visto il film ho talvolta pensato di essermi addormentato per un attimo, perché non riuscivo a trovare la quadratura della situazione. Se il film nel complesso funziona è perché alcune sequenze sono girate con grande maestria e senso (molto pratico) della tensione, come quella, soprattutto, dell’attacco indiano all’insediamento dei coloni, parossistico, diviso com’è tra le eventualità della carbonizzazione e del soffocamento. Curiosa anche la scelta di comprimere la portata epica del paesaggio con una ratio 1,85: 1 invece del consueto (‘na volta) formato panoramico. Io immagino di sapere il perché, ma non lo dico. Non per maleducazione o menefreghismo, ma solo perché, come già accennato, sono vent’anni che dico sempre le stesse cose come un pappagallo sfiatato.
Quindi, per evitare di ammorbarvi per l’ennesima volta, l’idea di oggi è di farvi parlare del film da persone che sanno cosa dicono. Saranno loro, critici e amici, nomi illustri interpellati a proposito a raccontarvi qualcosa di Horizon e qualcos’altro su che senso abbia produrre un western (dispendioso) oggi. Sarete contenti, alcuni li conoscete e sapete bene che sono molto bravi. Per di più lucidi, perché non si perdono nei mille rivoli ai quali invece vi ha abituato questo blog (ora sito, ve ne siete accorti?). Una precisazione: nessuno sa cosa dice l’altro, nemmeno io so cosa diranno, perché questo post l’ho scritto prima di ricevere il loro materiale, per cui è possibile che due interventi si contraddicano o che si sovrappongano. È il bello del dibattito ed è la ricchezza di un simile post, che sono davvero onorato di proporvi in rigoroso ordine alfabetico. Divertitevi.
dovevo prendere parte al gioco, ma non ce l’ho fatta a vedere il film per vari motivi (non voglio annoiarvi mettendomi a raccontarli). Siccome però mi identifico nei vecchioni che mister GF ha incontrato al Massimo, se ho capito bene (anche l’età ci sta: tengo 76 primavere) e, ancor di piu, siccome ho ripetutamente salutato su Segnocinema la resurrezione del western con recensioni dedicate a Tre sepolture, The Appaloosa, The homesman (nessuno ha voglia di metter su un bel saggio su TOMMY LEE JONES attore e regista??)e ha meditato di scrivere qualcosa sull’inedito da noi western di Kelly Reichardt (altra cineasta da studiare, per mio conto), e mi sono innamorato di First cow. L’ultimo mio saggio di una certa ampiezza che Segnocinema ha pubblicato era dedicato ad una sequenza della Valle dei Mohicani (titolo italiano dissennato) del grandissimo BUDD BOETTICHER, uno dei miei favoriti di/da sempre. Vengo al dunque: posso scrivere di questa ultima fatica di Kevin Costner quando lo avrò finalmente visto? La cosa mi farebbe felice.
Mario, per te la porta è sempre aperta.
Anzi, per illudersi su una rinascita che è peggio dell’attesa del Messia per gli israeliti, mi permetto di consigliarti anche “The Dead don’t Hurt” di e con Viggo Mortensen.
Un bel western cosciente di se stesso, con stupendi momenti dovuti alla bravura dei due protagonisti (c’è anche Vicky Krieps), ma ovviamente, un altro bel flop al botteghino, la cui uscita italiana, altrettanto ovviamente, non è (ancora) prevista.
MAKE WESTERN GREAT AGAIN
zitto trumpiano
Non se ne può più dei western e della critica che si dedica ai western. E adesso che avete detto la vostra cosa cambierà? Il film è un flop
Innegabile. Lo dice per tre volte addirittura anche il post.
Fareste migliore figura ad andare a lavorare. Siete soloa capaci di dare aria (fritta) alla bocca
Se ci occupiamo di critica è perché non sappiamo fare nient’altro. Abbia pazienza.
Frasca, faccia poco il simpatico che non c’è nulla su cui scherzare. E non faccia del facile vittimismo che di vittime è già pieno il mondo. Lei e il suo gruppetto riflettiate sul vostro operato e cercate di trovare della dignità. Che rispetto ai critici di un tempo voi sembrate tutti degli scappati di casa.
Buona serata
Mi consola molto pensare che anche il vagabondo, inquadrato nel giusto filone letterario, abbia la sua dignità.
Buona serata a lei.
Che aspettative avete sul Capitolo 2?
Parlo per me: mi aspetto un racconto corposo, organizzato bene (al netto di qualche buchetto di sceneggiatura), alcune scene spettacolari, l’ingresso di Giovanni Ribisi (che qualche anno fa era un attore molto interessante) e una sostanziale indifferenza della stragrande maggiornaza del pubblico. Lievemente diverso il discorso se diventasse direttamente una serie per Netflix: non che sposterebbe gli assi dell’attenzione, ma qualche spettatore interessato in più potrebbe averlo. Certo, per gustarselo bisognerebbe avere a casa uno schermo grande come quello di una sala cinemtatografica. Ma non si può avere tutto.